Paolo Virno: la rivoluzione, allegra ambizione

di Andrea Colombo

Fonte: il manifesto 

Paolo Virno è stato un protagonista essenziale della sinistra rivoluzionaria italiana ed è stato anche redattore indimenticato e indimenticabile di questo giornale. In quei tardi anni Ottanta Paolo era appena uscito da una kafkiana odissea giudiziaria, passata alla storia come «7 aprile». Lo avevano inquisito e messo in galera con accuse ridicole, alle quali non credevano neppure i magistrati, ma per la giusta pur se inconfessabile motivazione: quella di essere un rivoluzionario comunista deciso a sovvertire lo stato presente della cose e convinto che se viviamo è per camminare sulle teste dei re. La diffidenza nei confronti della magistratura democratica, mai incrinata sino all’ultimo giorno della sua vita, nasceva dall’esperienza.

Paolo era approdato al manifesto, nella sezione cultura che allora comprendeva anche gli spettacoli. Però non voleva e non volevamo fare una sezione culturale come tante, neppure se politicamente molto orientata. Miravamo a un vero «controgiornale», capace di guardare quello che l’urgenza della cronaca quotidiana spingeva a ignorare nelle prime pagine: non le acrobazie del Caf, come veniva definito allora l’ultimo direttorio della prima Repubblica, Craxi, Andreotti, Forlani, e neppure le magnifiche sorti di guerre di liberazione lontanissime nello spazio e forse anche nel tempo storico. Piuttosto le trasformazioni radicali delle forze produttive che allora, alla fine degli anni Ottanta, erano ancora in culla. L’emergere di un nuovo proletariato che usava l’intelletto e l’inventiva al posto del corpo costretto alla ripetizione infinita della catena di montaggio. Il paradosso di una società del lavoro salariato che lo sviluppo stesso delle forze produttive aveva reso obsoleta e parassitaria ma dalla quale si stava uscendo mantenendone le regole, perché questo imponeva la sopravvivenza del comando.

Era una sfida ambiziosa che avrebbe portato alla nascita di un periodico, Luogo comune, ma che si combatteva in larga misura anche sulle pagine del manifesto. Chi volesse capire meglio di cosa si sta parlando dovrebbe solo consultare la raccolta degli articoli firmati da Paolo pubblicata due anni fa da DeriveApprodi, Negli anni del nostro scontento. Scoprirebbe una capacità unica di rintracciare le linee essenziali del nuovo ordine sociale costruito negli anni Ottanta , ma anche di tutto ciò che poteva e può minarlo, dove meno lo si andrebbe a cercare: in un film di successo, nei sentimenti dominanti di un’epoca, nel lessico minuto degli «intellettuali».

Quell’ambizione compiutamente rivoluzionaria è stata la cifra permanente dell’azione politica e della riflessione filosofica di Paolo Virno. Anima, a volte apertamente, altre volte come un astuto spettro capace di dissimularsi per incidere più a fondo, i numerosi volumi che ha pubblicato. Tutti, nessuno escluso, mirano alla sovversione del presente, anche quando si concentrano sul motto di spirito o sui limiti del linguaggio. In nessun momento Paolo ha abbassato il tiro, adattandosi alla mesta missione di rendere un po’ più giusto il mondo. Sapeva che senza una visione capace di scardinare l’intero ordine non si sarebbe mai arrivati neppure a strappare un salario un po’ più alto. È sempre «andato ai resti».

Per la maggior parte della sua vita, Paolo ha operato nel contesto di una sconfitta della quale era pienamente consapevole ma alla quale non si è mai rassegnato. Era stato militante e dirigente di Potere Operaio, un’organizzazione più influente di quanto le sue dimensioni attestino oggi, nell’epoca quasi preistorica nella quale la rivoluzione sembrava e forse era all’ordine del giorno.
Ma nella sua riflessione la nostalgia non ha spazio e l’armamentario di ieri lo considerava solo un impaccio, salvo che nel metodo ereditato dalla scuola dell’operaismo ma rivisitato e riadattato sino a essere spesso irriconoscibile. Spiava piuttosto qualsiasi segnale indicasse l’emergere di nuove soggettività e nuove visioni, tanto distanti dal bagaglio di ieri da spingerlo a sostenere che oggi non si possa conciliare l’essere comunisti con l’adesione alla sinistra e alla sua tradizione, più dannosa che semplicemente inutile.

Per molti, nei tanti luoghi politici che ha frequentato nella sua vita, Paolo Virno è stato un punto di riferimento, un maestro di pensiero critico tagliente, un compagno e un amico. Per alcuni, come chi lo ricorda oggi in queste pagine, lo era già dai tempi di un liceo romano in cui ci trovavamo insieme e di Potere Operaio. A chi non lo ha mai conosciuto Paolo lascia testi preziosi, che continueranno a essere studiati e soprattutto adoperati come armi contundenti nella lotta di classe moderna. Ma a loro mancherà qualcosa che nessun testo potrà mai riflettere: la generosità proverbiale di Paolo, l’incuria per il denaro ai confini dell’incoscienza, la rocciosa presenza nei momenti di bisogno, l’ironia e l’allegria. Quello, a noi che lo abbiamo conosciuto e amato, non può essere restituito. Ma averlo avuto per grande amico è stato un raro privilegio.