Continuiamo a ricordare degnamente e per come merita Giuseppe Milicchio. Lo stiamo facendo a puntate ripercorrendo la storia del suo e del nostro Cosenza Calcio. Prima gli anni Settanta, a seguire poi i primi anni Ottanta. E poi la storica promozione in Serie B del 1988. E ancora il primo anno di quella Serie B attesa per 24 lunghissimi anni. Fino agli anni Novanta e al memorabile campionato di Alberto Zaccheoni. Per continuare con il ritorno di Gianni Di Marzio.
Poi il campionato 1995-96 e il tragicomico campionato successivo, quello della retrocessione di Padova, passato alla storia anche come la retrocessione di Peppuccio, il “Principe di Caricchio”.
di Gabriele Carchidi
La squadra costruita dal figlio del presidente Pagliuso, il “terribile” Peppuccio, è affidata ad un giovane allenatore. Si tratta di Gianni De Biasi, fresco laureato al supercorso di Coverciano. Nonostante fior di veterani come Marulla, De Rosa e Alessio, sembra però una squadra inadeguata a recitare un ruolo di primo piano in campionato. Intanto, Pagliuso padre ha ceduto a peso d’oro (7 miliardi) il bomber Lucarelli e il difensore Cristante (2 miliardi). Anche in questo caso – com’era successo con Negri l’anno prima – pochi di questi denari sono stati investiti nella costruzione della squadra.
Il primo, preoccupante campanello d’allarme scatta a Castel di Sangro, il paesino di poche anime balzato sorprendentemente alla ribalta del calcio professionistico. Davanti a una squadra infinitamente più debole, il Cosenza incappa in un’incredibile sconfitta. Un po’ tutti – e Giuseppe Milicchio e chi vi scrive erano tra questi – criticano aspramente De Biasi. Squadra messa male in campo, schemi approssimativi, nessuna idea, un solo attaccante sul campo di una piccola matricola e finanche problemi di spogliatoio. In effetti, sono in molti a ritenere De Biasi eccessivamente presuntuoso e, di contro, completamente succube delle scelte della società. E sarà proprio Giuseppe a lanciare un’intervista al vetriolo di Angelo Alessio, che afferma: “Ci serve un modulo stabile”. Quanto basta per costringere Pagliuso padre a scendere direttamente in campo per difendere l’allenatore, ma la vittoria sul Bari, grazie a un gran gol di Logarzo al quarto minuto di recupero, spegne le contestazioni. Ma solo temporaneamente. La netta sconfitta di Genova e lo stentato pari in casa col Chievo riaccendono le critiche, che riesplodono dopo la nuova sconfitta a Torino. Passati in vantaggio con Tatti, i Lupi si suicidano: Ziliani provoca un calcio di rigore e si fa espellere, spianando la strada ai granata.
L’ambiente rossoblù va in fibrillazione. In settimana, Giuseppe si ferma spesso con i tifosi del club “Tre scalini”, che stazionano sempre davanti allo stadio San Vito e sono capeggiati da un grande tifoso: Franchino ‘u biondo detto anche “Trapattonii”. E saranno proprio i tifosi dei “Tre scalini” ad affondare De Biasi con una lettera ai giornali accusandolo di “attuare la zona senza avere a disposizione i giocatori adatti” e chiedendo a gran voce il ritorno di Gianni Di Marzio, “grande conoscitore di calcio, sostituito con… un osservatore del Parma (Barillaro, ndr)” e l’acquisto di almeno tre giocatori.
La classifica si fa sempre più preoccupante dopo la sconfitta di Foggia e quando arriva un deludente pari a reti inviolate al San Vito nel derby con la Reggina, Pagliuso padre minaccia addirittura le dimissioni perché non ha gradito il trattamento riservatogli dai tifosi, che hanno preso di mira per la prima volta anche il figlio… Il 10 novembre del 1996, in occasione della gara interna con l’Empoli, in Curva Sud appare uno striscione con la scritta “Pagliuso, risparmia e (s)cumparisci!”. Insieme a Giuseppe, in cabina radio, commentiamo con un sorriso amaro quella simpatica contestazione. La squadra, che intanto era stata rafforzata con l’arrivo dell’attaccante Guidoni, pare risollevarsi con due vittorie, a Cremona e al San Vito contro il Cesena. Ma a Lecce un’altra rovinosa sconfitta (3-2 dopo essere stati in vantaggio per 0-2) fa traballare la panchina di De Biasi e la sconfitta di Venezia convince Pagliuso a voltare pagina e a cambiare allenatore, visto che la squadra è quart’ultima e quindi in piena zona retrocessione.
I CENTO GIORNI DEL PROFESSORE SCOGLIIO
E’ il 23 dicembre del 1996 quando la società annuncia l’esonero di Gianni De Biasi e l’ingaggio del professore Franco Scoglio. Il carisma del nuovo allenatore non si discute: per lui parla un palmares pieno di successi. Chi non ricorda il Messina dei miracoli e la scoperta di Totò Schillaci? E chi non ricorda le brillanti affermazioni di Genova, sponda rossoblù? I tifosi salutano con grande entusiasmo il suo arrivo e il 27 dicembre, nella sala stampa del San Vito, la sua presentazione è un successo. Scoglio ammalia la tifoseria alla sua maniera ma i risultati, con l’eccezione della vittoria di Palermo e di quella al San Vito contro il Padova, non arriveranno. La stella di Scoglio smette di brillare nonostante il chiacchieratissimo arrivo del libero svedese Nylen, suo giocatore di fiducia, che deluderà terribilmente. Dopo la sconfitta di Lucca, il pari interno col Castel di Sangro e la nuova sconfitta a Bari, riesplode la contestazione. Persino Giuseppe è perplesso ma nessuno di noi può dire niente alla parte più calda della tifoseria, che giustamente è delusa. Dopo la sconfitta in trasferta contro il Chievo, Pagliuso manda tutti in ritiro a Spezzano Albanese.
Lo spettro della retrocessione convince anche gli ultrà a dimenticare le divisioni tra Curva Sud Bergamini e Curva Nord Catena. Per la partita della verità contro il Torino andranno tutti in Tribuna B, come ai vecchi tempi, per incitare i Lupi alla vittoria. La città è piena di manifesti, Giuseppe Milicchio è tra i più attivi sia a convincere gli ultrà a tornare insieme, sia a far capire a Pagliuso che deve abbassare i prezzi dei biglietti (Curve e Tribuna B a 12 mila lire di allora…). Il 2 marzo 1997 il San Vito ha un colpo d’occhio quasi commovente, gli ultrà hanno preparato uno striscione eloquente – “Col sangue agli occhi e la rabbia in corpo” – e la partita sembra prendere la piega giusta quando Alessio indovina un calcio di punizione perfetto e porta in vantaggio il Cosenza. Ma il Torino pareggia e all’ultimo minuto di recupero Lombardini segna il gol della beffa.
Gli ultrà la prendono malissimo e si scagliano contro i “vip” della Tribuna numerata e i giornalisti (all’epoca stavamo tutti in Tribuna B perché c’erano lavori in corso…). Subito dopo il triplice fischio finale, parte una violenta sassaiola e si aprono duri scontri con la digos, che porteranno come sempre a molte diffide, anche perché ad avere la peggio sono stati proprio i poliziotti…
Il Cosenza è terzultimo a quota 23. Dopo la sconfitta di Brescia si fa strada l’ipotesi di un ritorno di De Biasi, Scoglio, decisamente troppo tardi, capisce il “movimento” e invita i giornalisti (chiaramente selezionati dalla società) ad un incontro televisivo per certi versi drammatico. Il professore ammetterà di essersi isolato troppo dall’ambiente e di aver commesso alcuni errori di valutazione. Il 23 marzo, dopo due mesi di amarezze, il Cosenza torna alla vittoria al San Vito battendo 3-2 il Foggia. Poi bussa alle porte il derby di Reggio Calabria: sarà l’ultimo atto per Franco Scoglio, battuto per 1-0 da un rigore assurdo. La classifica diventa disperata e Pagliuso nella notte tra il 30 marzo e il 1° aprile manda via Scoglio e richiama De Biasi.
E qui apro una parentesi personale. Ne parlai molto a suo tempo proprio con Giuseppe Milicchio ma alla fine presi una decisione. Non ho mai condiviso due esoneri in una stessa stagione, perché sbagliare è umano ma perseverare è diabolico! Mandare via Scoglio in quella situazione, ha definitivamente condannato la squadra alla retrocessione ed è per questo che, dopo 11 anni, decisi di lasciare il ruolo di speaker dello stadio San Vito per protesta. Non sono riuscito a far finta di niente, Giuseppe fino all’ultimo aveva cercato di convincermi a restare ma anche lui aveva capito quale sarebbe stato l’epilogo di quella maledetta stagione. Che vi racconteremo domani, un po’ di pazienza.









