Lettere a Iacchite’: “Cup di Cosenza: il mio percorso a ostacoli tra gravidanza, code e disservizi”

CUP di Cosenza: il mio percorso a ostacoli tra gravidanza, code e disservizi

La mia esperienza al CUP di Cosenza, da quando sono incinta, è diventata una sorta di percorso a ostacoli. Anche se ho diritto allo sportello prioritario, mi ritrovo spesso in fila per molto tempo, quasi quanto allo sportello ordinario. Mi hanno spiegato che la lentezza dipende dai server ormai vecchi, che rallentano ogni operazione e costringono anche chi ha diritto alla precedenza a lunghe attese.

Una scena che non dimenticherò è quella di un signore con la bombola di ossigeno. Era lì, fermo, paziente, e mi ha detto: «Aspetto fin quando mi dura». In quel momento ho realizzato quanto questa situazione sia ingiusta, soprattutto per chi non ha la mia stessa forza o possibilità. Io, per fortuna, sto bene e posso permettermi di aspettare un po’ di più, ma per molti malati non è così: ci sono persone che non dovrebbero stare nemmeno un minuto in piedi, figuriamoci mezz’ora o più.

Le difficoltà non finiscono certo alla fila. Una volta, dopo aver atteso come sempre, mi hanno detto che i codici sulla mia ricetta non erano più validi perché erano stati aggiornati. Ho dovuto tornare dal medico, farmi riscrivere tutto e ricominciare da capo. Una perdita di tempo che forse per altri è solo una seccatura, ma in gravidanza pesa, perché ogni spostamento diventa un impegno fisico e mentale.

In un’altra occasione, dovevo fare le analisi di routine. Allo sportello hanno registrato solo una ricetta su due. Così, al prelievo, mi hanno fatto un solo esame e tutte le analisi del sangue più importanti non sono state effettuate. L’ho scoperto dopo, quando ormai non si poteva fare più nulla. Ho dovuto tornare un’altra volta, perdere un altro giorno e rifare tutto da capo.

L’episodio più assurdo riguarda il campione di urine. Non accettano più il contenitore tradizionale e l’infermiera me l’ha detto chiaramente: «Ora te lo faccio passare, ma la prossima volta devi portarlo nella provetta!». Mi ha dato una provetta e mi ha mandata in bagno a travasare lì le urine. Una procedura che, a mio parere, non ha nulla di igienico e che non dovrebbe esistere in una struttura sanitaria.

Dopo giorni di attesa, arriva il referto: valori completamente sballati, con una carica batterica di 19.999. Sono andata nel panico. Ho chiamato il ginecologo, che mi ha consigliato un’urinocoltura. L’ho fatta in un laboratorio privato per avere un risultato certo. È arrivato subito: tutto perfetto, nessun batterio. Le analisi del CUP erano semplicemente sbagliate.

Racconto tutto questo non per lamentarmi, ma perché credo sia importante dare voce a ciò che troppe persone vivono quotidianamente. Io sto bene, riesco a gestire queste difficoltà e posso permettermi di aspettare, ma penso a chi non ha la mia stessa fortuna: anziani, persone fragili, pazienti cronici che non possono restare in piedi, né tornare indietro dieci volte per errori che non dipendono da loro.

Il servizio pubblico dovrebbe garantire cura e dignità, non ansia, confusione e spreco di tempo. Questa città, e questa regione, meritano un sistema sanitario efficiente, con strumenti adeguati e procedure chiare. Raccontare queste esperienze è il primo passo per chiedere che le cose cambino.

Lettera firmata