Ci sono la violazione di due direttive europee tra cui quella relativa alla conservazione di habitat naturali e la mancanza del parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti sul piano tariffario dietro il no della Corte dei Conti al visto di legittimità e alla registrazione della delibera Cipess sul via libera al ponte sullo Stretto di Messina. Dalle 33 pagine di motivazioni, depositate giovedì dalla Sezione centrale di controllo di legittimità, emerge che i magistrati contabili contestano innanzitutto il superamento della valutazione ambientale negativa attraverso la procedura “Iropi”, quella a cui si ricorre quando ci sono imperative motivazioni di rilevante interesse pubblico che giustificano un progetto anche se ci sono criticità. Il secondo profilo riguarda i contratti con il general contractor Eurolink, di cui è capofila WeBuild: la loro “riattivazione”, con aggiornamento dei corrispettivi e radicale modifica delle condizioni economiche, viola l’articolo 72 della direttiva appalti. Abbastanza per fermare il provvedimento che avrebbe dovuto segnare il via ai cantieri dell’opera simbolo del governo Meloni.
Il giudizio arriva al termine di un’istruttoria durante la quale il Collegio ha chiesto chiarimenti a Palazzo Chigi, ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ministero dell’Ambiente, Tesoro e società Stretto di Messina, senza ottenere risposte ritenute sufficienti a superare i rilievi. Ora il Mit “prende atto delle motivazioni” e fa sapere che “continua l’iter per la realizzazione del collegamento tra Calabria e Sicilia, anche alla luce della positiva collaborazione con la Commissione europea”. Tecnici e giuristi, assicura il dicastero guidato da Matteo Salvini, “sono già al lavoro per superare tutti i rilievi e dare finalmente all’Italia un Ponte unico al mondo per sicurezza, sostenibilità, modernità e utilità”. Mercoledì l’ad della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, in audizione aveva espresso “fiducia e determinazione” nel fatto che di potere ottenere una “registrazione piena” nella convinzione di “aver operato nel completo rispetto delle norme generali e speciali italiane ed europee relative alla realizzazione del ponte”.
La violazione della direttiva Habitat
Il primo fronte riguarda la decisione di superare il parere negativo della Commissione tecnica VIA-VAS, che nel 2024 aveva rilevato criticità gravi per tre siti Natura 2000. Il governo ha scelto di ricorrere alla procedura “Imperative reasons of overriding public interest”, prevista dalla direttiva Habitat solo in casi eccezionali. Ma per la Corte l’uso della deroga non è stato adeguatamente motivato né accompagnato da un’istruttoria tecnica conforme ai criteri europei. La relazione Iropi approvata dal Consiglio dei ministri il 9 aprile 2025, osservano i giudici, è priva di firma, data e, soprattutto, di una valutazione autonoma da parte delle amministrazioni competenti (in particolare il Mase). Non dimostra l’assenza di soluzioni alternative, che la direttiva impone di analizzare in modo approfondito “alla luce degli effetti sugli habitat e sulle specie” e non solo sulla base degli studi prodotti dal soggetto proponente.
La Corte contesta anche la qualificazione dei “motivi imperativi di interesse pubblico”. Il governo ha fondato la deroga sulle ricadute economiche del Ponte, sull’aumento dell’accessibilità e sull’integrazione territoriale fra Calabria e Sicilia. Ma per l’Unione europea, ricorda la Corte, quelle motivazioni non consentono di prescindere dal parere della Commissione: si può procedere solo in presenza di ragioni legate alla salute pubblica, alla sicurezza o a impatti ambientali di primaria importanza. Ragioni che non sono state dimostrate. A ciò si aggiunge la carenza del confronto con Bruxelles: la Dg Environment, con una lettera del 15 settembre, aveva chiesto chiarimenti specifici su diversi profili critici, ma il Mase ha fornito una risposta giudicata “meramente riproduttiva” dei pareri VIA, senza nuovi elementi. Nel complesso, secondo il Collegio, la fase Iropi “non risulta coerente con il riparto delle competenze e con i criteri stringenti della direttiva”.
I contratti riattivati senza rifare la gara
Il secondo pilastro della decisione riguarda i contratti già affidati negli anni Duemila e poi caducati con la messa in liquidazione della Stretto di Messina. Il decreto-legge 35/2023 ha “rianimato” la concessione e consentito allo Stato di ripristinare gli accordi con i soggetti aggiudicatari responsabili della progettazione definitiva, esecutiva e della realizzazione dell’opera. Insieme a Eurolink sono stati riattivati i rapporti con il Project Management Consultant e con il Monitore ambientale.
Per la Corte questa operazione non rispetta l’articolo 72 della direttiva Appalti, che consente modifiche contrattuali senza nuova gara solo in casi circoscritti e entro un limite massimo del 50% del valore iniziale, e comunque solo quando tali modifiche non avrebbero potuto attrarre nuovi potenziali concorrenti. Qui avviene l’opposto. L’elemento decisivo è il mutamento delle condizioni economiche: l’opera non è più finanziata in project financing, come previsto nel 2003-2006, ma interamente con fondi pubblici, come stabilito dalle leggi di bilancio 2024 e 2025. Una trasformazione che “avrebbe potuto attrarre ulteriori partecipanti” e che quindi rende obbligatoria una nuova procedura competitiva.
Non solo: gli aggiornamenti dei corrispettivi riconosciuti al general contractor (oltre 10,5 miliardi) e alle altre strutture tecniche sono stati accolti senza che il Cipess o il Mit verificassero nel merito l’aderenza ai criteri dell’articolo 72. Né nel piano economico-finanziario né nella documentazione allegata, rileva il Collegio, esiste un’analisi che dimostri in che misura gli aumenti siano imputabili a inflazione o revisioni tecniche e non costituiscano invece modifiche sostanziali che alterano l’equilibrio contrattuale originario. Per questo l’intera operazione è ritenuta incompatibile con il diritto Ue.
Il Piano economico finanziario senza basi
Un ulteriore punto critico è quello del piano tariffario su cui si basa il Piano economico-finanziario. La delibera Cipess ha escluso la necessità di acquisire il parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti, perché il Ponte sarebbe assimilabile a una “strada extraurbana di categoria B” e quindi fuori dal perimetro di competenza dell’autorità. La Corte smonta questa lettura: ricorda che l’articolo 37 del decreto 201/2011 attribuisce ad ART un ruolo generale e trasversale nella definizione dei criteri tariffari su tutte le infrastrutture soggette a pedaggio, indipendentemente dalla classificazione stradale.
Secondo i giudici, l’esclusione di ART e del Nucleo di consulenza per l’Attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità ha indebolito l’istruttoria sul Piano, soprattutto perché le tariffe proposte sono solo “provvisorie” e costruite su stime di traffico non consolidate. La Corte contesta anche l’argomentazione introdotta dal Mit nella fase finale dell’istruttoria, secondo cui il pedaggio non avrebbe funzione remunerativa, essendo l’opera interamente finanziata dallo Stato: il decreto-legge 35/2023 impone comunque che ricavi e tariffe concorrano alla sostenibilità economico-finanziaria del progetto.









