IL PONTE E IL DESERTO
Cronaca di una Calabria sospesa tra il miraggio dello Stretto e l’abbandono delle sue strade
Esiste una legge non scritta della politica italiana: quando si vuole distrarre un popolo dai propri diritti negati, gli si promette un monumento. E il Ponte sullo Stretto di Messina, con i suoi 13,5 miliardi di costo stimato, le sue torri alte 399 metri e la sua campata di 3.300 metri che lo renderebbe il ponte sospeso più lungo del mondo, è il monumento perfetto. Un colosso di acciaio e retorica piantato su una terra che non ha ancora imparato a camminare.
Il 6 agosto 2025 il CIPESS ha approvato il progetto definitivo. Un mese dopo, la Corte dei Conti lo ha bocciato. Il 17 novembre, un secondo stop. Le motivazioni? Violazione di due direttive europee, mancata acquisizione del parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti, carenze nell’istruttoria ambientale. Non questioni di campanile, non obiezioni ideologiche: buchi procedurali, omissioni tecniche, irregolarità contabili. Eppure il Governo, con quella ostinazione che confonde la pervicacia con la visione, annuncia che andrà avanti comunque. Ma mentre Roma litiga con i magistrati contabili, la Calabria affonda. E nessuno sembra accorgersene.
La ferrovia fantasma: 150 anni senza tempo
C’è una linea ferroviaria in Italia che attraversa tre regioni, tocca quattro capoluoghi di provincia, serve 600.000 abitanti e funziona ancora come nel 1875. Si chiama ferrovia Jonica, e corre lungo la costa orientale della Calabria con la velocità di un pensiero del Novecento: binario unico, tratti non elettrificati, velocità massima di 70 chilometri orari nei punti più generosi. Chi viaggia sulla Jonica non prende un treno: entra in una macchina del tempo che non sa tornare indietro.
La tratta Sibari-Crotone è rimasta chiusa per mesi. Da settembre 2024 a giugno 2025, poi di nuovo da ottobre. Lavori di elettrificazione, dicono. Ma i cantieri procedono a singhiozzo, i finanziamenti evaporano dai radar del sistema REGIS, le date di completamento slittano dal 2026 al 2027 e forse oltre. Nel frattempo, i pendolari jonici viaggiano su autobus sostitutivi lungo strade che non perdonano.
E mentre si elettrifica a stento il tratto da Sibari a Catanzaro Lido, i 147 chilometri che separano Catanzaro Lido da Melito di Porto Salvo restano ciò che sono sempre stati: un binario solo, senza corrente, senza speranza, senza nemmeno un cronoprogramma. Il capoluogo di regione, Catanzaro, raggiungibile dalla costa solo attraverso una vecchia ferrovia a cremagliera, merita insieme a Matera il titolo di città italiana peggio servita dalle ferrovie. Ma non c’è problema: avremo il Ponte.
L’Alta Velocità che non arriva mai
Nel grande racconto del Ponte, la Calabria viene sempre descritta come una terra che sta per essere connessa all’Europa. Presto, promettono, i treni ad alta velocità attraverseranno lo Stretto e correranno verso Palermo. Peccato che quei treni, oggi, non riescano nemmeno ad arrivare in Calabria.
La linea Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria esiste solo nei comunicati stampa del Ministero. In realtà, l’unico cantiere aperto è il lotto 1a, che va da Battipaglia a Romagnano, in provincia di Salerno. Trentacinque chilometri a 250 chilometri dalla Calabria. Da lì in poi? Nebbia fitta.
Il tracciato originale prevedeva il passaggio per Tarsia, nodo cruciale che avrebbe collegato anche la Sibaritide e Crotone. Quello studio, costato 35 milioni di euro, è stato abbandonato con la scusa di una «falda acquifera» mai verificata. Al suo posto, un progetto tirrenico da Praia a Mare a Paola di cui non esiste né progetto definitivo né finanziamento. Il Documento di finanza pubblica 2025 stima in 18,2 miliardi il costo per l’intero tracciato calabrese. Di questi miliardi, al momento, non c’è traccia.
La verità è amara: l’Alta Velocità in Calabria si ferma a Praia a Mare. Anzi, a qualche chilometro prima. Tutto il resto è letteratura elettorale. Il sindaco di Corigliano Rossano, Flavio Stasi, lo denuncia da mesi: «La cancellazione del nodo di Tarsia non era altro che lo strumento per cancellare l’Alta Velocità in Calabria». Quasi nessuno lo ha ascoltato.
La strada della morte
Se i treni non funzionano, resta l’automobile. E se resti in automobile sulla costa jonica, resti sulla Statale 106. Quattrocentonovantuno chilometri di asfalto che collegano Reggio Calabria a Taranto attraversando 85 centri abitati, con curve cieche, incroci a raso, tratti senza corsie di emergenza, attraversamenti pedonali nel nulla. Una strada costruita nel 1928 e lasciata sostanzialmente inalterata per quasi un secolo.
La chiamano «la strada della morte», e non è retorica. Dal 1996 al 2020 ha contato oltre 600 vittime. Nel solo 2025, già nei primi mesi dell’anno, otto persone hanno perso la vita. Otto, in meno di quattro mesi. Una ogni quindici giorni. Ieri un anziano a Mirto Crosia, l’altro ieri un motociclista a Roccella Jonica, prima ancora uno scontro frontale a Cariati. Il comitato «Basta Vittime sulla Statale 106» lancia appelli che restano senza risposta.
È vero, a marzo 2025 è stato firmato un accordo tra Regione e Ministero per 3,8 miliardi di euro destinati all’ammodernamento. Fondi importanti, sulla carta. Ma ventiquattro ore dopo la firma, un altro morto. E di quei miliardi, solo una minima parte è già operativa. Per i restanti 80 chilometri tra Corigliano Rossano e Crotone servono altri 5,5 miliardi che non ci sono. Intanto, però, il Ponte.
Il paradosso degli aeroporti: troppi scali, pochi passeggeri
La Calabria ha tre aeroporti: Lamezia Terme, Reggio Calabria, Crotone. Tre scali per meno di due milioni di abitanti, una densità aeroportuale degna della Svizzera. Ma la Svizzera ha le Alpi, la Calabria ha la speranza.
Per mantenere in vita questo sistema, la Regione ha messo in campo decine di milioni di euro. Il bando «Destinazione Calabria», vinto da Ryanair, vale 9 milioni in nove mesi. L’abolizione dell’addizionale comunale, coperta dalla Regione, aggiunge altri 11 milioni stimati. La SACAL, società di gestione degli scali, stanzia 14 milioni per il 2025. In totale, oltre 30 milioni di soldi pubblici per drogare il traffico aereo.
I risultati? Reggio Calabria cresce del 79%, è il miglior scalo italiano per incremento percentuale, si avvia verso il milione di passeggeri. Ma a quale prezzo? I coefficienti di riempimento dei voli internazionali oscillano tra il 53% e il 74%, gli aerei viaggiano mezzi vuoti, e quando finiranno gli incentivi molte rotte svaniranno come neve al sole. Lo stesso fondatore di AeroportiCalabria.com lo scrive chiaramente: «Tutto ha un costo, un inizio e, quando il sistema non sarà più alimentato, anche una fine».
Nel frattempo, Lamezia, il vero hub regionale, registra numeri inferiori al 2019, anno pre-pandemia. I lavoratori SACAL denunciano riduzioni di organico, malessere aziendale, precariato decennale. A settembre 2025 hanno scioperato per la prima volta nella storia. E mentre si pompano milioni negli aeroporti, non si trovano i fondi per chiudere i passaggi a livello sulla ferrovia jonica.
Il Ponte come alibi
Torniamo, dunque, al Ponte. Il Ponte che la Corte dei Conti ha bocciato due volte in un mese. Il Ponte che viola la direttiva Habitat sulla conservazione degli ambienti naturali. Il Ponte che non ha acquisito il parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti. Il Ponte i cui costi sono aumentati in modo «non adeguatamente motivato», con le spese di sicurezza passate da 97 a 206 milioni senza spiegazioni.
Il Governo ha reagito attaccando la magistratura contabile. La premier Meloni ha parlato di «invasione della giurisdizione», annunciando riforme costituzionali come «risposta adeguata». Il ministro Salvini ha definito la bocciatura «una scelta politica». Nessuno, però, ha risposto nel merito alle obiezioni tecniche.
E qui sta il punto politico vero. Non se il Ponte sia tecnicamente realizzabile: gli ingegneri studiano per questo. Non se sia finanziariamente sostenibile: se un’opera serve, i costi si affrontano. La domanda è un’altra: a cosa serve un Ponte se non c’è strada per raggiungerlo?
Con un solo binario non elettrificato sull’intera fascia orientale. Con la linea tirrenica preda delle mareggiate e dei ritardi cronici. Senza Alta Velocità tagliata recentemente dal Governo con la complicità della Giunta Regionale. Con la Statale 106 tra le più lente e pericolose d’Italia. Con le trasversali Ionio-Tirreno inesistenti o impraticabili.
In questo contesto, il Ponte non è un’infrastruttura: è una scenografia. Una gigantesca operazione di marketing territoriale che serve a nascondere l’abbandono sistematico di una regione intera. È come comprare un lampadario di cristallo per una casa senza tetto.
La palude del potere
Torniamo, dunque, al Ponte. E proviamo a guardarlo per quello che è davvero. Il Ponte non è un progetto ingegneristico: è un sistema di potere. Una rete di interessi, appalti, consulenze, progettazioni che si autoalimenta da decenni indipendentemente dalla realizzazione dell’opera. La Stretto di Messina S.p.A. esiste dal 1981. In quarantaquattro anni non ha costruito nulla, ma ha speso miliardi in studi, progetti, contenziosi, liquidazioni. Una palude economica nella quale troppi sono intrappolati, e dalla quale nessuno sembra voler uscire.
Questo non significa che un collegamento stabile tra Sicilia e Calabria sia inutile in assoluto. Significa che finché non esistono le condizioni per raggiungere quello collegamento, esso resta un miraggio nel deserto. E nel deserto, i miraggi servono solo a far camminare gli assetati nella direzione sbagliata.
La Calabria ha bisogno di strade, non di sogni. Ha bisogno di treni che arrivino, non di promesse che partono. Ha bisogno che qualcuno si accorga che esiste anche quando non serve a vincere le elezioni.
Ma forse è proprio questo il problema. La Calabria è troppo lontana per essere vista, troppo povera per essere ascoltata, troppo rassegnata per ribellarsi. E così, mentre Roma costruisce ponti verso il nulla, qui si continua a morire sulle strade, a viaggiare su treni del secolo scorso, a emigrare verso nord perché restare è diventato impossibile.
Il Ponte sullo Stretto, se mai verrà costruito, sarà il monumento a questa assenza. Il simbolo di una politica che preferisce i grandi gesti alle piccole necessità. La cattedrale nel deserto più costosa della storia italiana. E noi, da questa parte dello Stretto, continueremo a guardarlo. Con i piedi nell’acqua.









