“Proporzionale e premio. Ecco la legge elettorale che fa vincere la destra”

(di Lorenzo De Cicco e Serena Riformato – repubblica.it) – ROMA – Sulla legge elettorale il centrodestra fa sul serio. Sottotraccia, l’accelerazione per cambiare le regole del gioco è già stata impressa. Uno studio riservato è sulla scrivania dei principali esponenti di FdI, FI e Lega da qualche settimana. Repubblica, che l’ha visionato, è in grado di svelarlo. Il dossier, curato dagli uffici parlamentari della maggioranza, s’intitola così: “Analisi sulla legge elettorale per il 2027”. Vengono scandagliati i possibili risvolti delle prossime elezioni Politiche, attraverso tre diversi sistemi di voto: l’attuale legge elettorale, il Tatarellum con un listino bloccato e poi la terza ipotesi, il proporzionale con maxi-premio di maggioranza. L’analisi non è asettica. Spulciando il rapporto, una decina di pagine, si intuisce quale sia l’idea prevalente ai vertici della coalizione di governo. L’opzione numero tre, il proporzionale con un premio del 15% per chi arriva primo e prende il 40% dei voti.

Secondo lo studio, con l’attuale legge elettorale, sondaggi alla mano, per la maggioranza «è evidente che si corrono grandi rischi» di stabilità. Lo stesso discorso vale per il secondo scenario analizzato. È una versione rivista e corretta del Tatarellum, modello che è stato utilizzato per l’elezione dei presidenti di Regione insieme ai consigli regionali. Verrebbero cancellati tutti i collegi uninominali attualmente in vigore. Nella formula attenzionata dal centrodestra, è prevista l’indicazione del candidato premier e c’è un listino di coalizione, vale a dire un elenco di nomi blindati, che senza preferenze o collegi plurinominali strappano il seggio se sono appaiati alla coalizione che ha più consensi. Anche questa ipotesi sembra però già essere stata scartata a destra. O almeno, confermano fonti azzurre, sembra suscitare più tentennamenti che entusiasmi. Il motivo sembra essere tutto politico, come si legge nel dossier: si rischiano tribolate «trattative con gli alleati» per decidere come spartire i posti nel listino. Il quale per altro, è una considerazione che viene riportata, rischia di essere un paracadute a vantaggio dei partitini della coalizione, più che per le forze politiche principali.

 

È il terzo scenario quello che il centrodestra dunque sembra pronto a sposare, senza troppe trattative (che in teoria dovrebbero ancora cominciare): via tutti gli uninominali, sì a un sistema con un proporzionale puro. Si prevede che la coalizione che otterrà «il 40% dei voti validi» incassi «il 55% dei seggi». Non compare il listino, in questo scenario. Mentre, c’è scritto, sarebbero riproposti i collegi plurinominali, con le ripartizioni territoriali disegnate dal vecchio Rosatellum, il sistema con cui si è votato nel 2018. Per vincere, sarebbe necessario ottenere «100 collegi alla Camera e 52 al Senato». Anche con questo marchingegno elettorale, è Palazzo Madama il cruccio della coalizione di governo. Perché per Costituzione, articolo 57, il Senato è eletto su base regionale, a differenza della Camera. Per evitare rischi, viene già suggerita un’asticella: il premio deve essere «di almeno 29 seggi» a Palazzo Madama. Altro dettaglio chiave: la soglia di sbarramento ipotizzata è «il 3% sia per i partiti coalizzati che non coalizzati». Sarebbe una buona notizia per Carlo Calenda e la sua Azione, che intende correre fuori dai due blocchi.

Il documento mostra che lo stato delle interlocuzioni tra i partiti di maggioranza è molto avanzato. In maniera informalissima, sono stati messi a parte dello studio anche alcuni maggiorenti dell’opposizione. Non Elly Schlein. La segretaria del Pd ieri faceva capire che però qualche margine di negoziato c’è: «Non ci hanno fatto vedere nulla, ma se e quando arriverà una proposta in Parlamento la valuteremo, siamo una forza seria». Non è un’apertura di credito sbilanciata: «La legge elettorale perfetta non esiste – dice la leader del Pd – ma il presupposto sbagliato è il premierato». E in un’intervista al TgLa7 va all’affondo: «Il governo risolva i problemi degli italiani, non i suoi».