“Risse, aggressioni, furti, qualche colpo di pistola sparato di qua e di là: Cosenza scivola nell’emergenza sicurezza. Cosenza non è una città sicura. Il rischio di finire preda di qualche “maranza”, durante una normale passeggiata, è percepito dai cosentini come concreto. Gli ultimi episodi verificatisi proprio sul corso principale della città, e in pieno orario di shopping, alimentano questa sensazione. La gente ha paura di uscire, chiede sicurezza, più controlli e, soprattutto, che i responsabili di questi fatti vengano assicurati alla giustizia”. (cit. i media di regime)
A leggere le cronache di questi giorni, Cosenza sembra essere diventata una sorta di far west: un luogo in cui la legge non esiste e gli onesti sono ostaggi dei banditi. Una rappresentazione che, a prima vista, suona come una verità. Ed è vero: a Cosenza la legge sembra non esistere e gli onesti appaiono ostaggi di pochi banditi. Ma dentro questa verità c’è una domanda che nessuno sembra voler porre: chi sono davvero i banditi che tengono in ostaggio un’intera città? I “maranza”, come li definisce il giornalismo di regime locale, mutuando un termine dal gergo milanese che indica – nello specifico – bande di quartiere periferiche, spesso composte da figli di immigrati di seconda o terza generazione, dediti alla violenza e al furto? Oppure qualcun altro?
La domanda non è il tentativo di costruire un escamotage politico o ideologico per “assolvere” presunti proletari costretti a delinquere per sopravvivere, né una scorciatoia per attribuire ogni colpa alla società o allo stato che non investe nelle periferie, nel lavoro, nell’integrazione, nella cultura e nella legalità. Tutte questioni reali, per carità, ma che non possono né devono cancellare le responsabilità individuali di chi si macchia di aggressioni vigliacche e violente. Il punto è un altro: questi comportamenti, per quanto gravi e deprecabili, non possono essere collocati al primo posto nella scala delle priorità legate alla sicurezza cittadina. Anche perché, se davvero il problema di Cosenza fosse quello dei “maranza”, così come viene raccontato, il problema semplicemente non esisterebbe. Cosenza non è Milano. E a Cosenza questa “categoria sociale” non esiste. Gli episodi degli ultimi tempi, per quanto inquietanti, non possono essere inseriti in modo credibile dentro una strategia criminale strutturata, gestita da gruppi organizzati di giovani “disadattati” che dalle periferie si spostano in centro per rapinare presunti “figli di papà”. Non è questo lo schema che spiega ciò che sta accadendo.
Questo allarme sicurezza è la solita, schifosa e squallida messa in scena della destra mafiosa cosentina, abituata a strumentalizzare episodi reali solo per darsi il tono di chi vive di legalità e ordine: una maschera dietro cui si nascondono la loro vera natura e il sistema di potere di cui fanno parte. Sono come la finta antimafia: frequentano cortei, convegni e incontri contro la mafia, scrivono contro la mafia e poi, la sera, cenano con la mafia. La destra cosentina grida all’emergenza “maranza” per distogliere l’attenzione dai veri problemi della città, problemi di cui è parte attiva. Insieme, ovviamente, alla sinistra mafiosa.
Non a caso, né la destra né la sinistra mafiosa della città parlano mai di allarme sicurezza, né presentano interrogazioni parlamentari, quando si tratta del livello ormai evidente di commistione tra politica e massomafia. Quella, per loro, non è un’emergenza. Perché sono loro a farne parte. Sono loro i banditi che tengono in ostaggio i cittadini onesti, cittadini che spesso e volentieri si lasciano trascinare dalla retorica. Altro che maranza. Cosenza è una città fallita, in continuo declino economico, culturale e sociale. E gli infami episodi di violenza di questi ultimi giorni sono il segno inequivocabile del degrado morale e sociale in cui ci hanno trascinato proprio quelli che oggi invocano esercito, repressione, missili e carri armati. Non è una lettura politica: è una constatazione che emerge dai fatti, da ciò che per anni hanno scelto di non vedere e di non denunciare. La loro idea di sicurezza si ferma esattamente dove cominciano i loro loschi interessi.
Non hanno gridato all’allarme sicurezza quando il presidente del Consiglio comunale — come lui stesso ha dichiarato davanti alla polizia giudiziaria — incontrava mafiosi nei bar della città, accompagnato da un usciere del Comune. Silenzio assoluto. E il fatto che oggi tra gli urlatori della sicurezza ci sia proprio il presidente del Consiglio comunale, Mazzuca — lo stesso che incontrava i mafiosi nei bar — dice molto sulle convergenze tra destra e sinistra quando si tratta di occultare i propri intrallazzi.
Non hanno invocato l’esercito quando il sindaco Occhiuto, da loro sostenuto, trafficava con ditte mafiose e faccendieri, trascinando il Comune verso il dissesto. Nessuna emergenza. Non hanno mai parlato di legalità quando i palazzinari si spartivano la città, quando i beni pubblici venivano affidati a conclamati ’ndranghetisti, tra foto ricordo e tagli del nastro. Non hanno mai denunciato le bustarelle che circolano liberamente negli uffici pubblici e nei tribunali, né hanno mai invocato maggiore repressione contro i grandi narcos cittadini che spacciano cocaina come fossero caramelle. E dopo aver tollerato, coperto e normalizzato tutto questo, oggi pretendono pure di fare gli sceriffi.
In questo disastro morale, politico e criminale che loro stessi hanno costruito, mancava solo un ultimo tassello alla farsa, che puntualmente, come da copione, è arrivato: ci mancavano solo gli idioti delle ronde… che fanno rima con maranza e Milano, utili solo a fare rumore, a spaventare i gonzi e a coprire l’unica verità che a Cosenza non vogliono mai affrontare. La città non è ostaggio dei maranza, ma di una classe dirigente mafiosa, trasversale e impunita, che da anni governa il degrado e oggi prova a nasconderlo dietro la paura. L’unica vera emergenza a Cosenza sono loro.









