di Giulia Merlo
Fonte: Domani
L’unica buona notizia prenatalizia per Matteo Salvini è arrivata dai tanto criticati giudici, in particolare dal collegio di Cassazione, che ha confermato in via definitiva la sua assoluzione sul processo Open Arms come da richiesta anche del procuratore generale. C’è poco altro, però, sotto l’albero del leader leghista. Ormai in un costante testa a testa politico con una Forza Italia in crescita (e sopra la Lega in molte regioni), la manovra di bilancio rischia di essere la certificazione di quanto poco Salvini pesi, e dunque incida, sulle scelte dell’esecutivo. Il testo – licenziato e corretto in extremis dagli uffici del Mef guidato da Giancarlo Giorgetti – affonda infatti due dei cavalli di battaglia del vicepremier.
Le pensioni
L’ultima tegola è arrivata sulle pensioni. Le modifiche alla manovra vanno in direzione opposta ai desiderata leghisti con una doppia stretta: dal 2032, la “finestra mobile” (il tempo di attesa prima di ricevere la pensione anticipata) aumenta da 3 a 4 mesi, che diventeranno 5 nel 2033 e 6 dal 2034. Dal 2031, invece, varrà meno il riscatto della laurea breve. Questo irrigidimento delle regole per i prepensionamenti si aggiunge a quanto già previsto nel disegno di legge di Bilancio, che aumenta di tre mesi l’età di pensionamento a partire dal 2027.
Altro che la Quota 100 evocata da Salvini, il quale tre anni fa ha fatto dell’abolizione della legge Fornero il suo motto. A riprova del marasma della giornata, la Lega ha tentato di fare muro all’emendamento del suo governo e del suo stesso ministro. Il consigliere per le politiche economiche di Salvini, Armando Siri, ha infatti evocato la solita proverbiale «manina» dei burocrati ministeriali, che sarebbero intervenuti sul testo della manovra all’insaputa di tutti. «Finché c’è la Lega al governo non esiste né oggi né mai nessun provvedimento che alzi i parametri dell’età pensionabile men che meno che sottragga il riscatto della laurea», ha tuonato.
La «manina», però, è quella di Giorgetti, è stata la risposta di Pd e M5S, a sottolineare l’insolita ma ormai consolidata dinamica: il leghista al governo (Giorgetti) presenta, i leghisti in parlamento protestano e tentano di riscrivere. Così la Lega ha tentato di correre ai ripari, minacciando la presentazione di un subemendamento per convertire la stretta sulla finestra mobile e sui riscatti della laurea in «una clausola di salvaguardia».
Con un problema: le clausole di salvaguardia fanno scattare coperture alternative, come l’aumento dell’Irap sulle banche o dell’Iva. Insomma, qualcosa di certo non gradito al Mef. «Se non dà il via libera, che venga qui a spiegare», è stato l’avviso ai naviganti Claudio Borghi, omettendo di riferirsi al ministro del suo partito ma dando la misura della tensione interna.
Il guaio del ponte
Quanto al ponte, la Corte dei conti ha negato il via libera alla delibera del Cipess sull’opera e ora anche dell’atto aggiuntivo – ovvero il contratto tra ministero dell’Economia, il Mit e la società Stretto di Messina – e i conseguenti rilievi tecnici hanno fatto slittare l’inizio dei lavori. In concreto gli errori messi in luce dalla magistratura contabile hanno prodotto un emendamento alla manovra per adeguare il cronoprogramma ai nuovi tempi. In particolare, è stato fatto notare che gli aggiornamenti progettuali hanno prodotto il rischio di «superamento della soglia del 50 per cento delle variazioni ammissibili» dalle regole Ue. Inoltre, il governo ha previsto che il ponte sia finanziato totalmente con fondi pubblici, mentre il progetto originario prevedeva un partenariato pubblico-privato 40-60 e questo ha prodotto una modifica sostanziale del contratto. Problemi non da poco che potrebbero costringere a presentare un nuovo progetto con nuove gare di appalto.
Proprio questo ha avuto l’effetto di dover inserire in finanziaria un emendamento scritto dal ministero dell’Economia che farà slittare 780 milioni di euro al 2033 (su 13,5 miliardi di euro di risorse complessive autorizzate). Nella relazione tecnica si legge che si prevederà «un incremento delle risorse nell’anno 2033 tale da lasciare inalterato il valore complessivo delle somme autorizzate», tuttavia oggi le risorse verranno spostate dalla maxi opera infrastrutturale ad altri capitoli di spesa. E, come sa bene chi fa politica, del domani si vedrà e molto dipenderà dal governo in carica. Il governo è al lavoro per presentare una nuova delibera Cipess – fonti leghiste parlano di un testo per il primo Cdm del 2026 – ma per ora di concreto c’è solo il rinvio dei fondi.
A Salvini rimane poco di cui essere orgoglioso per questo 2025, con la Lega ferma all’8,5 per cento e tallonata di qualche decimale dai forzisti. Il segretario, però, ha ancora un mezzo asso nella manica da spendere: il veto sul decreto Armi che dovrà essere approvato entro fine anno.
Potrebbe essere questa la leva – insieme all’aumento dei decibel delle sue posizioni filorusse in contrasto con la linea di politica estera di Giorgia Meloni – per ottenere qualche compensazione nella manovra di Bilancio. Quel che è certo, però, è che ogni emendamento al testo porta la firma del Mef in accordo con palazzo Chigi, con evidente scavalcamento del vicepremier.









