Calabria. Auto blu di Occhiuto. La Regione rescinde il contratto con l’Audi e gli paga un mese in più: quando la pezza è peggio del buco

C’è un punto, nella lettura degli atti amministrativi, in cui la forma non solo smette di salvare la sostanza, ma finisce per peggiorarla. È il momento in cui la pezza o la toppa che dir si voglia diventa peggio del buco. Succede leggendo la determina relativa al “contratto di noleggio per 30 mesi di un’autovettura di rappresentanza e per le esigenze di sicurezza del presidente Occhiuto”, una formula solenne che resiste sulla carta anche quando il presidente non c’è più…

Stiamo parlando del noleggio dell’auto blu di Occhiuto, una Audi A6 per la quale la Regione ha “dimenticato” la circostanza che il presidente riceve già un contributo e ha commesso un reato pacchiano di peculato acclarato da documenti ufficiali. In questa determina, sfornata il 18 dicembre, si liquida ad Audi Zentrum anche la rata del mese di agosto e nel contempo viene rescisso il contratto causa dimissioni del presidente. Di conseguenza, secondo la Regione, tutto va bene madama la marchesa, il contratto è concluso e chi s’è visto s’è visto. Senza tenere in nessuna considerazione il reato che si è commesso prima della rescissione. Anzi, si fa persino di più: gli si paga un mese in più perché Occhiuto s’è dimesso il 31 luglio non il 31 agosto ma tant’è.

La Regione Calabria liquida il canone di un’auto di rappresentanza intestata al presidente pro tempore Roberto Occhiuto, nell’ambito di un contratto stipulato con Audi Zentrum di Emanuele Ionà, oggi, non per caso, appena eletto presidente della Commissione Cultura del Consiglio regionale. Un dettaglio che non incide sulla legittimità formale dell’atto, ma che aggiunge un ulteriore livello di imbarazzo istituzionale a una vicenda già sufficientemente opaca.

Mettiamo subito in chiaro un punto, per evitare alibi preventivi. La determina non crea il contratto e non ne rinnova gli effetti. È un atto esecutivo, una liquidazione. Proprio per questo, però, non può limitarsi a fare finta che nulla sia accaduto nel frattempo. Il problema non è neanche se l’auto fosse legittima quando Occhiuto era presidente. Il problema è cosa succede quando Occhiuto smette di esserlo e l’amministrazione continua a pagare come se niente fosse.

Ed è qui che il castello scricchiola. Le dimissioni non arrivano in silenzio, né all’improvviso. Arrivano in grande stile social, il 31 luglio, con tanto di annuncio pubblico. Poi vengono formalizzate l’8 agosto. Da quel momento, la funzione presidenziale è finita. L’auto, per definizione, no. Eppure, per la Regione, il tempo sembra fermarsi.

La determina ci informa che la risoluzione del contratto viene comunicata il 19 agosto 2025 e che il canone del mese di agosto è comunque dovuto perché “anticipato”. Anticipato. Una parola magica che chiude ogni discussione, almeno sulla carta. Peccato che il contratto non sia allegato, la clausola che renderebbe il canone indivisibile non sia richiamata e non venga spiegato se l’auto sia stata usata per tutto il mese o per una sua parte. Il pagamento diventa così un riflesso automatico, un gesto burocratico privo di verifica, come se la spesa pubblica fosse un abbonamento streaming che non si può disdire.

E qui la questione si fa seria. Perché quando le dimissioni sono pubbliche, ufficiali e riconoscibili, l’amministrazione non può fingere di scoprirle tre settimane dopo. I principi di tempestività e diligenza non sono un’opzione gentile, sono un obbligo. E invece non c’è traccia di una valutazione su come contenere la spesa, ridurre il canone, sospendere il pagamento o quantomeno spiegare perché nulla di tutto questo fosse possibile.

Ancora una volta, ciò che colpisce non è ciò che l’atto dice, ma ciò che evita accuratamente di dire. Nessuna istruttoria sulla possibilità di riduzione. Nessuna valutazione sull’interesse pubblico residuo. Nessun accenno al fatto che l’auto fosse ormai priva della sua funzione istituzionale. La priorità sembra una sola: chiudere il conto, non difendere il denaro pubblico.

E mentre il presidente si sfila di scena, le responsabilità scivolano verso il basso. La determina richiama dirigenti, uffici, responsabili del procedimento. Ma non emerge chi abbia deciso davvero di non decidere. Chi abbia valutato, o scelto di non valutare, l’impatto delle dimissioni sulla spesa. Il risultato è un classico scaricabarile amministrativo: l’atto è formalmente corretto, ma qualcuno, alla fine, rischia di pagarlo in sede contabile.

Sulla carta, tutto regge. Nella sostanza, molto meno. Perché un atto esecutivo, proprio in quanto tale, avrebbe richiesto una motivazione rafforzata su ciò che è accaduto dopo. E invece si limita a fotografare il passato – ovviamente senza… peculato -, ignorando il presente. dove il peculato spunta come un fungo e si vede anche benissimo.

Non è una questione di accuse penali, né di processi mediatici. È una questione di metodo, di responsabilità e di rispetto per le risorse pubbliche. Quando la funzione viene meno, l’amministrazione non può limitarsi a fare finta di niente e a pagare. Deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per non sprecare neanche un euro. Qui, quella dimostrazione semplicemente non c’è.