Forza Italia. L’arenile del centrodestra è pieno di delfini berlusconiani spiaggiati. E Tajani se la ride…

“In Forza Italia l’irruzione in scena della corrente del presidente calabrese Roberto Occhiuto, con la richiesta della cosiddetta scossa liberale per il centrodestra, costringe Antonio Tajani a muoversi per segnalare l’esistenza di Forza Italia, finora cresciuta nei sondaggi e nei consensi grazie a una strategia dell’invisibilità. Tajani, in cuor suo, è sicuro che Occhiuto farà la fine di Alfano, Fitto, Verdini, Carfagna, Gelmini, tutti i berlusconiani doc che in questi anni sono stati costretti a lasciare Forza Italia, mentre Tajani, restando fermo, ha ereditato da Berlusconi il partito”. Così Marco Damilano qualche giorno fa su Domani. E quando si riferisce ai vari faccendieri/e citate, racconta in sintesi una serie di “delfini” berlusconiani che poi sono stati scartati e hanno trovato riparo in altre storie. Così come ricordava un po’ di anni fa Marco Sarti su L’Inlkiesta 

I DELFINI FANNO UNA BRUTTA FINE

Crescere all’ombra dei Berlusconi, soprattutto di Silvio, ha portato sfortuna a tanti, ormai lo dice anche la storia. Sono passate e passano le stagioni ma la storia è sempre la stessa: gli eredi designati del Cavaliere fanno una brutta fine. Fuori dal partito, nel migliore dei casi. Accusati di tradimento e dimenticati da tutti, il più delle volte.

Raffaele Fitto è solo l’ultimo della lista, l’arenile del centrodestra italiano è pieno di delfini spiaggiati. Giovani leader di belle speranze, pronti a raccogliere l’eredità del capo, vittime designate del fato e della propria ambizione.

Secondo Carlo Marx la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Nel caso di Forza Italia siamo almeno alla quarta replica. Dopo Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, dopo Angelino Alfano, Fitto. Ormai il Cavaliere affronta la vicenda con apprezzabile realismo. «Gli eredi non si possono tirare fuori – spiegava in una intervista alla Nazione – Il carisma uno ce l’ha o non ce l’ha». E così per quanto avrebbe voglia di abbandonare la politica, non sembra ancora in grado di individuare un sostituto. «Al momento non vedo nessuno cui passare il testimone».

Accadeva così agli albori del berlusconismo, quando la parabola del Cavaliere era in ascesa. Succede di nuovo mentre la fase storica avviata nel 1994 procede inevitabilmente verso la conclusione. Intanto la maledizione dei giovani leader continua a mietere vittime. L’ultimo capitolo della storia riguarda il pugliese Fitto: «Forza Italia è un capitolo chiuso», ha spiegato. Poi ha presentato ai giornalisti la sua nuova associazione: “Conservatori e Riformisti”.

Ambiziosi al punto giusto, per molti ex delfini l’addio è diventato un dramma. Senza i voti del Cavaliere si fa poca strada. Di Fini si è detto, la sua esperienza politica con Futuro e Libertà è finita presto e male. Dopo un brusco risveglio dal sogno montiano, l’ex presidente di Montecitorio è rimasto persino fuori dal Parlamento. Pierferdinando Casini – fedele alleato del Cavaliere fino al 2008 – ormai sembra aver abbandonato le aspirazioni di un tempo. Torna d’attualità ciclicamente, quando bisogna eleggere un presidente della Repubblica (ma di salire al Colle non gli è ancora riuscito). Piccola curiosità: il leader dell’Udc ha ritrovato Alfano, altro ex delfino poi ministro e segretario del Nuovo Centrodestra. In Parlamento i due hanno dato vita all’esperienza di Area Popolare.

Ma il destino non è stato triste solo per i numeri due. Nella storia politica del Cavaliere traslocano anche i gregari. Le cronache politiche degli ultimi anni sono zeppe di fedelissimi di Berlusconi costretti a fare le valigie e cambiare partito. Addii sorprendenti come quelli dello storico coordinatore Sandro Bondi e del responsabile della comunicazione Paolo Bonaiuti, solo per citare i più recenti. Andando indietro nel tempo ce ne sono molti altri. Non era vicino al leader l’economista Giulio Tremonti, oggi senatore leghista? E l’ex governatore lombardo Roberto Formigoni, oggi esponente del Nuovo centrodestra? Si potrebbe proseguire citando Fabrizio Cicchitto, Marcello Pera, Beppe Pisanu…

Il penultimo delfino, Giovanni Toti, Silvio lo ha divorato perché troppo amico della Lega. L’ultimo delfino, Stefano Parisi, ieri Berlusconi lo ha anzitempo dimissionato perché lo considera troppo nemico della Lega. È la maledizione dell’erede designato: venire subito a noia al re di Arcore. Il quale sa di non essere eterno ma sa anche di essere irripetibile.

Dunque non c’è simil-Silvio inventato dal Silvio Crono, che possa durare granché. Parisi dal 1993 al 2016 è stato il colpo di fulmine numero 30, a tenersi stretti, ed è andata come è andata. Non meglio e neppure peggio rispetto a Letizia Moratti, l’infatuazione berlusconiana del lontano 1996, durante la famosa «traversata nel deserto» dell’opposizione al governo Prodi, e poi la stessa sorte dell’altare e della polvere è toccata a Franco Frattini, Mauro Pili (do you remember? Il sardo bellino: «Piace alla signore ma mai quanto me», parola di Crono), Maurizio Scelli, Gianfranco «Che Fai Mi Cacci?» Fini, Pierferdinando Casini e via così: Roberto Formigoni, Corrado Passera, Mario Monti, Angelino «Ma Non Ha il Quid» Alfano, Gianpiero Samorì (addirittura), Guido Barilla (perfino lui), naturalmente Guido Bertolaso e ovviamente Raffaele Fitto, ma anche la tentazione Alfio Marchini.

Spesso il delfino decaduto diventa acerrimo nemico del designatore presto pentito ma non per tutti e non sempre vale questa regola. E comunque Berlusconi alcuni li indica come suoi successori in pectore addirittura come nuovi leader dei moderati (ma tanto dopo Silvio solo Silvio ci può essere secondo Silvio) e altri, più in piccolo, come leader del suo partito da illuminare con la sua luce. Che s’accende e si spegne con regale leggerezza, secondo i piaceri e le bizze del sovrano.

Nell’estate del 2007 voleva affidare tutta la baracca a Michela Vittoria Brambilla, ora degradata a consigliera zoologico-animalista che comunque non è poco. E prima ancora di puntare su se stesso, nel 93, Berlusconi già aveva un delfino, o meglio un alter ego ovvero un sostituto («Ma è troppo molle») capace forse di impedire la dittatura bolscevico-occhettiana in Italia. Ma l’accordo con il prescelto, Mariotto Segni, non si chiuse e allora sua Emittenza scese in campo personalmente.

Per due anni, dal 94 al 96, si stette calmo, poi cominciò a giocare pazzamente con le figurine. Letizia Moratti sarà «la nostra Lady Ferro». Stessa immagine, ma fuggevole, che più di recente è stata pensata per la primogenita del Cavaliere, Marina. E Paolo Del Debbio? L’ex filosofo, fondatore di Forza Italia e divo della pop-tivvù è delfino ricorrente, adoratissimo da Silvio. E in tempi di trumpismo potrebbe tornare in auge il suo nome. E comunque a lui non è mai toccato di dover diffondere tramite agenzie di stampa un comunicato come questo della Moratti, nel 2010, da sindachessa di Milano: «Non sono il delfino di Berlusconi. Il Cavaliere ha tanti delfini e tutti validissimi». E anche, spesso, somigliantissimi – almeno agli occhi del Re – tra di loro.

Lui predilige i bellini, composti e gentili, piuttosto alti di statura, forse per supplire nel suo immaginario ai centimetri che gli mancano: Toti è così, e così anche Frattini, per non dire del Pili di cui si diceva. Pettinato e piacente, fisicamente slim, con però un difettuccio che gli è costato la carriera anche agli occhi del suo grande mentore. Nel discorso di insediamento da presidente sardo, recitò un discorso ricalcato pari pari da un testo che si riferiva originariamente alla Lombardia. E così, si scoprì che il fiume Ticino bagna la Barbagia e il Mincio scorre in Costa Smeralda. E Maurizio Scelli, che doveva sostituire tutti i «parrucconi» forzisti – eterno incubo del Presidentissimo – grazie alla sua esperienza alla Croce Rossa? Svanito in un attimo, e subito dopo la sua convention personale a Firenze disertata quasi anche da lui stesso.

Un elenco telefonico potrebbero riempire le mancate promesse messe in campo da Silvio. Alla lettera M ecco Monti: «Gli affido la guida del centrodestra moderato». A Luca di Montezemolo, Berlusconi provò a convincerlo nel 2012 a farsi delfino. Guido Martinetti, il mister Grom dei gelati, è stato cometa per qualche giorno. Fitto ancora mastica amaro. E non è il solo. Gli eredi designati di solito fanno una brutta fine. Fuori dal partito, nel migliore dei casi. Accusati di tradimento, come Alfano-Fini-Fitto, o dimenticati da tutti il più delle volte. Quando la cotta del Cavaliere finisce male, lui fa questo tipo di autocritica: «Il carisma uno ce l’ha o non ce l’ha». E il delfino spiaggiato ai suoi occhi naturalmente ne è privo.

A Toti, quando era in auge, gli amici dicevano: «Ma sei sicuro che domani Silvio, che ti ha appena dato il quid, non te lo toglie?». La stessa cosa – quanto duri? Sei sicuro di durare? Non è che adesso Silvio s’infatua di un altro o di un’altra? – gli amici hanno ripetuto in questi mesi a Parisi. Anche se lui sembrava finalmente il delfino giusto. Ma niente. Buttato giù da Silvio per paura che Salvini buttasse giù le giunte di centrodestra.

Un capitolo a parte merita Denis Verdini, che fu coordinatore di Forza Italia e faceva addirittura le liste. Gli fu fatale il cosiddetto patto del Nazareno fra Matteo Renzi e Berlusconi sul percorso delle riforme, ma anche altro. Un patto durato poco più di un anno e infrantosi contro l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, voluta dal presidente del Consiglio e segretario del Pd senza l’intesa con l’ex Cavaliere. Che la reclamava come prova di serietà e di coerenza, visto il comune interesse concordato a riformare cose non certo secondarie come la Costituzione e la nuova legge elettorale.

Furono proprio i verdiniani, tra i forzisti, ad essere sospettati, a torto o a ragione, di avere votato per il presidente scelto da Renzi, indifferenti al fatto che il segretario del Pd fosse stato più sensibile ai rapporti con le minoranze, al solito in fermento, del proprio partito che a quelli con Berlusconi. Il quale, dal canto suo, non era stato di certo incoraggiato ad accettare la soluzione propostagli da Renzi… E non abbiamo ancora finito…