«Ma Babbo Natale esiste davvero?». L’importanza di credere in un sogno

«Ma Babbo Natale esiste davvero?». L’importanza di credere in un sogno

di Alessia Arcolaci

Fonte: Domani 

«Credere a Babbo Natale è un passaggio fondamentale nello sviluppo dei bambini», dice la pedagogista Elisabetta Rossini. È importante non avere fretta di togliere la magia. «Anticipare troppo significa chiedere ai bambini di ragionare con strumenti che non hanno ancora»

«Quest’anno mettiamo una fotocamera in mezzo ai rami dell’albero di Natale. La lasciamo accesa tutta la notte così immortalerà il momento in cui Babbo Natale verrà a lasciare i regali. Finalmente potremo scoprire la faccia che ha». Mattia, 9 anni, lo ha chiesto così, diretto e con la serietà necessaria, ai suoi genitori mentre preparavano gli addobbi natalizi. Non c’era ironia, né voglia di smascherare un trucco. C’era un dubbio autentico, pronunciato con la serietà di chi è sospeso tra il continuare a credere e il bisogno di capire.
Lì in piedi sulla soglia della sua infanzia: quando stai in equilibrio sulle punte dei piedi e vuoi vedere cosa c’è più in là, ma il desiderio di restare nel mondo della magia è più forte della spinta a entrare in quello degli adulti.

È un passaggio che mette in crisi molti genitori: è giusto continuare ad alimentare la fantasia o è arrivato il momento di dire la verità? Anticipare la fine del racconto o lasciare che sia il tempo a fare il suo lavoro? Secondo la pedagogista Elisabetta Rossini, esperta di relazioni familiari e cofondatrice dello studio Rossini-Urso, la risposta è chiara: «Credere a Babbo Natale non è un inganno, ma un passaggio fondamentale nello sviluppo dei bambini. Fino agli otto anni circa, i bambini hanno un pensiero animista e magico. Attribuiscono vita alle cose, osservano il mondo come piccoli scienziati, fanno domande continue, ma arrivano a deduzioni che hanno sempre un fondo di magia. È una fase in cui la realtà viene interpretata attraverso l’esperienza personale, che diventa universale. I bambini sono egocentrici ed egocentrati, senza alcuna connotazione negativa: è semplicemente il modo naturale in cui costruiscono un senso del mondo».

Senza fretta

A seguire, tra i sette e gli undici anni, si sviluppa progressivamente un pensiero logico concreto: il bambino inizia a fare collegamenti più razionali, a comprendere le regole, le cause, gli effetti. «Solo dagli undici anni in poi emerge il pensiero logico-formale, quello astratto, simile a quello degli adulti», sottolinea Rossini. «Per questo, è importante non avere fretta di togliere la magia: anticipare troppo significa chiedere ai bambini di ragionare con strumenti che non hanno ancora».

La figura di Babbo Natale diventa un ponte tra due mondi. «È come se per un periodo dell’anno gli adulti potessero parlare la lingua dei bambini, invece di costringerli ad adottare un pensiero razionale che non sono ancora pronti a comprendere». È qualcosa che facciamo continuamente nella quotidianità, spesso senza interrogarci: se un bambino si nasconde, non gli diciamo che lo vediamo; se sostiene che il peluche ha fame o sete, non lo correggiamo spiegando che è solo un oggetto. Assecondiamo il suo sguardo sul mondo.
Babbo Natale funziona allo stesso modo. «Credere nella magia è sano proprio per noi adulti, perché i bambini vivono in un mondo magico, quindi è giusto che per un periodo dell’anno seguiamo senza imposizioni quello che è il loro pensiero e il loro modo di vedere il mondo. In questo senso, il Natale diventa uno spazio educativo privilegiato. Non perché insegni qualcosa in modo diretto, ma perché ci permette di abitare un tempo diverso, in cui non tutto deve essere spiegato, verificato o dimostrato».

Custodire un’idea

Una dimensione sempre più rara anche per gli adulti, abituati a chiedere prove, conferme, risposte immediate. Così come l’attesa, sempre meno tollerata da grandi e bambini. Un tempo lento, di cui abbiamo bisogno. Babbo Natale non porta solo i regali, è il custode di un’idea di mondo in cui non tutto è visibile, in cui esistono gesti nascosti, attenzioni silenziose, presenze che non devono essere fotografate per essere vere.
Difendere la magia, ancora per un po’, dilata anche il tempo della crescita. «Parlare di magia non equivale a mentire», continua la dottoressa Rossini. «Significa riconoscere che, nei primi anni di vita, adulti e bambini abitano due mondi che condividono un vocabolario ma hanno una grammatica diversa.
E siamo noi adulti a poter parlare entrambe le lingue. Con il tempo, in modo naturale, le spiegazioni cambieranno: diventeranno più razionali, più dettagliate, più aderenti alla realtà. Ma forzare questo passaggio significa interrompere un processo che ha un valore profondo».

Lo stesso vale per le fiabe, come quella di Babbo Natale. «Le fiabe tradizionali parlano il linguaggio dei bambini: ci sono buoni e cattivi chiaramente riconoscibili, personaggi tipici che si ripetono in storie diverse, prove da superare e un finale in cui il protagonista trionfa. Sono racconti in cui la volontà e l’impegno sono fondamentali per raggiungere la serenità, spesso con l’aiuto di una figura magica che rende il percorso meno faticoso. Le fiabe permettono di dare spazio anche alle emozioni più scomode.
Parlano per metafore e non devono essere lette in modo letterale o didascalico, perché così perderebbero la loro forza». Di anno in anno le domande su Babbo Natale si fanno più dirette e precise: «Ma esiste davvero?»; «Perché non si fa vedere?»; «Come fa ad attraversare tutto il mondo in una notte?»; «Chi lielo dice che abbiamo cambiato casa?».

Il sipario

Ma non sempre significa che sia il momento di togliere il sipario. «Spesso queste domande nascono perché ha sentito amici più grandi o fratelli e sta cercando una rassicurazione. Le prime volte», spiega Rossini, «i bambini non vogliono sentirsi dire la verità: vogliono continuare a credere. Per questo è importante non affrettare le risposte. Si può rilanciare la domanda, chiedere cosa ne pensa, invitare il bambino a ragionare, inventare ancora. Anche alle domande pratiche non esiste una risposta universale. Ogni famiglia può costruire il proprio racconto, la propria tradizione, senza trasformare la magia in una prestazione o in una fonte di stress».
Anche la scoperta finale che Babbo Natale non esiste è un passaggio naturale. «È un piccolo lutto, come tanti che segnano la crescita: la perdita di una parte di sé, di uno sguardo sul mondo. Non è indolore, ma se arriva gradualmente il bambino sarà pronto ad affrontarlo, senza che questo cancelli la bellezza di ciò che è stato. La magia non ostacola la razionalità: la prepara».
La fotocamera di Mattia è pronta, nascosta tra i rami più folti e luccicanti dell’albero. Con lei sono pronte anche le ombre che qualcuno le farà immortalare per suggerire che anche quest’anno, Babbo Natale è passato, ha attraversato la stanza senza farsi sentire. Ha mangiato i biscotti che erano pronti sul tavolo per lui, ha bevuto una tazza di latte caldo con il miele e ha lasciato i suoi doni.
Così che il Natale resti vivo, incantato, e la sua magia possa durare ancora, almeno per un po’.