Scilla. Impianto Edison a Favazzina, si allarga il fronte del no: presto un tavolo tecnico misto

di Isabella Marchiolo

Fonte: Reggio Today

Il comitato spontaneo per la difesa della Costa Viola continua la sua azione di contrasto al mega impianto idroelettrico che Edison vorrebbe realizzare tra Favazzina e pian di Melia.

L’ultima partecipata assemblea organizzata dal comitato a Scilla ha informato dei nuovi sviluppi della mobilitazione, che unisce cittadini, associazioni e istituzioni pubbliche nel dissenso contro un progetto rifiutato dal territorio e caratterizzato da scarsa trasparenza nella procedura.

L’impianto di Favazzina e il percorso verso la Via (valutazione di impatto ambientale) che procede sottotraccia e senza coinvolgimento delle comunità locali sono da mesi al centro di un dibattito culminato in un consiglio comunale aperto a Scilla. In quella sede non era arrivata l’attesa opposizione formale del Comune, sebbene sindaco e maggioranza abbiano dato disponibilità a un confronto con il comitato e il gruppo scientifico che sta studiando il progetto per poter avviare un’interlocuzione con Edison.

Le novità dell’ultima assemblea del comitato a Scilla

Nell’area della Costa Viola, il fronte del no si espande. La recente assemblea di Scilla ha reso noto di un invito giunto dall’amministrazione comunale di Bagnara (altra zona in parte toccata dal progetto) perché si apra un tavolo tecnico insieme a rappresentanti ed esperti tecnici del comitato e il comune di Scilla, inclusi i due gruppi di minoranza Scilla Unita e Scilla Mediterranea (promotore, con Santagati e Mangeruca, del consiglio comunale aperto e da subito autore di un pressing sul sindaco e la giunta per prendere posizione contro l’impianto).

Il comitato ha inoltre deciso di sottoscrivere la richiesta di incontro istituzionale urgente sul caso Edison con l’assessore regionale all’ambiente regionale, promossa da Scilla Mediterranea insieme ad altre associazioni e singoli cittadini.

C’è anche l’idea di organizzare un evento pubblico di mobilitazione con una formula ancora da costruire e per questo si invitano gli interessati a inviare le loro proposte al comitato all’indirizzo mail comitatodifesacostaviola@gmail.com.

Il report aggiornato degli esperti conferma criticità e dissenso

L’assemblea di Scilla è stata l’occasione per presentare l’aggiornamento a dicembre 2025 del rapporto di valutazione critica sull’impianto Edison realizzato dal gruppo di lavoro multidisciplinare del comitato per la difesa della Costa Viola, coordinato dal professore Alberto Ziparo.

Suddiviso in relazioni di diversi esperti, il report si avvale di tutti i suggerimenti e spunti arrivati dai componenti dell’intero gruppo di lavoro durante colloqui e riunioni preparatorie.

Le novità rispetto alla prima relazione presentata riguardano l’analisi dei ulteriori studi sul sistema ecoterritoriale e paesaggistico del sito su cui sorgerebbe l’impianto, osservazioni sul campo e integrazioni volontarie che la stessa azienda Edison ha prodotto al Mase dopo la richiesta del ministero, a seguito della quale il percorso della Via si è fermato e risulta in stallo.

Tra i contributi dello studio, il geologo Giovanni Salerno ricorda l’incompatibilità del progetto con un territorio fragile sotto il profilo idrogeomorfologica. Secondo Salerno, “la sottovalutazione degli impatti da parte del proponente è frutto di analisi carenti e lacunose dei sistemi morfologici ed ecologici e delle unità ambientali del contesto interessato”.

Anche l’urbanista Giuseppe Romeo rileva un insufficiente approfondimento di Edison per gli aspetti di pianificazione urbanistica, territoriale e paesaggistica: “Il rispetto di direttive e prescrizioni dei piani – afferma nel rapporto – sono dichiarate ma quasi mai dimostrate dal proponente”.

Edison dovrà garantire il pieno rispetto di tali vincoli, ottenendo le necessarie autorizzazioni e pareri dalle autorità competenti, e adottando le opportune misure di mitigazione, monitoraggio e compensazione “al fine di assicurare la compatibilità del progetto con gli obiettivi di conservazione, la sicurezza territoriale e la tutela del paesaggio”.

Lo studioso di ecologia del paesaggio Gianni Mento arriva a conclusioni simili, parlando di “regole spesso eluse o evase dal progetto per le numerose aree protette”. Secondo l’esperto, “la società è consapevole di queste problematiche paesaggistiche”, ma vorrebbe far valere la deroga ai vincoli inibitori alla trasformazione paesaggistica consentita per le opere pubbliche e di pubblica utilità (come il governo sta facendo per il ponte sullo Stretto.

“Ma il progetto Edison – dice Mento – è privato e la dichiarazione di pubblica utilità è una possibile conseguenza della sua approvazione, non certo diventare un presupposto della valutazione ambientale”.

Paolo Barone, esperto di ambiente marino, descrive l’inestimabile patrimonio di biodiversità delle acque marine su cui l’impianto Edison avrebbe una forte invasività. Barone cita alcune catene rocciose dei fondali, come la Secca dei Francesi, che ospita una vasta foresta di corallo nero del Mediterraneo, con la rara specie antipathella subpinnata; le guglie di Bagnara, punto di raccolta, predazione e riproduzione per tutte le specie ittiche tipiche di questo tratto di mare; e l’Alberazzo, oasi unica dell’ambiente coralligeno mediterraneo. Proprio la temperatura delle acque e il movimento delle correnti favorisce l’habitat ideale per queste colonie marine: un equilibrio naturale che sarebbe stravolto dagli effetti dell’impianto sperimentale, che prevede tra l’altro, nel ciclo di lavoro della struttura, la re-immissione di acqua a temperature altissime.

Il nodo del rapporto tra rischio ed effettivi benefici energetici

Pagine importanti del report riguardano il rapporto costi-benefici della diga a pompaggio marino. Un’opera che sostanzialmente non serve al territorio, sebbene lo esponga a rischi ambientali certi. L’ingegnere Piero Polimeni precisa che il progetto Favazzina sarebbe utile in sé in quanto “risponde all’obiettivo generale del Priec-Pear della Regione Calabria di aumentare capacità di accumulo e integrazione delle rinnovabili”.

A essere assolutamente sbagliata è la scelta del sito e del tipo di tecnologia: “La convenienza energetica complessiva – spiega – è incompatibile con la pianificazione energetica regionale e merita un confronto comparativo molto più di dettaglio con alternative possibili”.

Polimeni evidenzia anche la “mancanza di trasparenza diffusa su potenza installata, numero di cicli annui attesi e profilo di esercizio”. Senza questi dati è difficile valutare l’effettivo contributo energetico di cui beneficerebbe il nostro territorio.

Domenico Marino, professore di economia ambientale dell’università Mediterranea, pone attenzione al rapporto tra energia prodotta e utilizzata per la produzione e sprechi della stessa: “Se le perdite energetiche risultanti dal pompaggio e dal trasporto superano un certo livello, l’efficienza complessiva del sistema può essere messa in discussione, rendendo l’impianto meno conveniente dal punto di vista energetico ed economico”.

L’urbanista Ziparo sintetizza gli studi effettuati dal gruppo di lavoro, ribadendo le criticità del progetto: “Siamo davanti a un’opera di cui non si sente né la necessità né l’urgenza. Non è al servizio di un determinato impianto funzionante e che necessita di tanto in tanto di ingenti volumi di acqua concentrati; molto più genericamente si tratta di un impianto sperimentale al servizio dei fabbisogni della rete elettrica nazionale e inutile per la rete elettrica calabrese, a cui però resterebbero rischi e danni della realizzazione”.

Conclude il professore Ziparo: “Vale la pena impegnare un territorio tanto fragile per presenza di frane e dissesti quanto pregevole nei suoi ecosistemi e paesaggi, evidenziati da numerosi vincoli ambientali, per un progetto probabilmente pensato per sfruttare le facilitazioni finanziarie per una (molto presunta) innovazione energetica?”

Un monito di questo tipo risuona dal Giappone, preso spesso a modello per progetti industriali e urbanistici d’avanguardia. Eppure, come è stato detto durante la riunione, proprio lì era stato realizzato un impianto sperimentale come quello di Favazzina, dismesso poco tempo dopo.