Povero Natale. Il virus degli auguri seriali scatena il festival della santa ipocrisia

Povero Natale. Il virus degli auguri seriali scatena il festival della santa ipocrisia

di Nando Dalla Chiesa

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Natale di festa. Regali (che si fanno o si ricevono), giocattoli, bambini, amici, panettone. Ma nella cifra del Natale c’è anche altro, giusto per stare attenti al nuovo che avanza. Anche cose strane e in fondo deprimenti.
Per esempio il tipo di auguri che si ricevono. Sempre di più e sempre più impersonali. Valanghe di biglietti o cartoncini o disegnini telematici da mittenti sconosciuti. Associazioni mai frequentate, studi professionali mai incontrati. E fin qui passi, è promozione. Ma anche persone sconosciute che hanno avuto il tuo numero di cellulare da qualcuno delle classiche catene “ma non dire che te l’ho dato io”, e ti raggiungono con paesaggi innevati, alberi natalizi, rubicondi babbi Natale.

Qualche sconosciuto è più espansivo e ti manda “un abbraccio”. Altri approfittano degli auguri per infliggerti dei pipponi sulla situazione politica e sulle cause delle guerre. Altri ancora approfittano della disposizione d’animo comune per rifilarti un trattatello di catechismo dell’infanzia. Pochissimi sono quelli che ci azzeccano e che, anche se sconosciuti, ti accendono una piccola luce nel cervello. Tipo foto di bimbo tendente al Gesù di Betlemme con la scritta “Quando ha voluto cambiare il mondo Dio ha mandato un bambino, non gli eserciti”.

La maggior parte degli auguri natalizi sono federati con quelli per il nuovo anno, e in questo, bisogna dirlo, c’è una resipiscenza di pietà. Vuol dire che non ci sarà il raddoppio. Ma la scelta impone o consiglia orizzonti di più lungo periodo. In definitiva bigli italiani sotto Natale e troverà una marea di presepi, grandi e piccoli, veri e simbolici, che le addolciscono o danno loro un barlume di romanticismo. Il segno del cristianesimo si trova nei luoghi
non deputati. Quando ero bambino non ne vedevo tanti così. La mia impressione, totalmente a spanne e priva di riscontri scientifici, è che la gente vada meno a messa e faccia più presepi e chissà se l’amore per papa Francesco, border line nella dottrina e schierato con la leggenda francescana, non avesse una qualche sintonia con queste tendenze culturali.

Quel che non cambia è che si celebrano i Natali, si fanno auguri di pace, si auspicano con commozione destini diversi, si intonano sottofondi musicali di antica o nuova spiritualità, e proprio non ricordo un Natale senza guerra e senza bombe, di giornata o immanenti al tempo che vivevo.
Tanto da convincermi, senza alcun pessimismo, che il Natale che noi celebriamo sia in fondo il festival dell’ipocrisia, se quest’ultima è davvero l’omaggio del vizio alla virtù. Purtroppo anche i Natali ce la mettono tutta. E a loro volta, non sono esenti da colpe. Non perdono, ad esempio, l’abitudine di privarci di qualche persona amata. Se ne è andata a
metà vigilia un’amica carissima che da un anno non parlava. In solitudine, dopo avere
vissuto, lei sì, di sogni, di sapienza e di sorrisi. Si chiamava Cristina. Non mi ci è voluto
molto per pensarlo: ecco di nuovo il mistero dei nomi e dei destini.