Occhiuto-Miserendino-Graziano-Borselli… Vi insegno io la sanità calabrese

In Calabria l’emergenza non è l’infarto, l’incidente o l’ictus. L’emergenza è il sistema che dovrebbe intervenire. 118, 112, NUE, chiamatelo come vi pare: il risultato non cambia. È uno sfascio organizzato, una messinscena tragica fatta di carcasse spacciate per ambulanze nuove, officine “autorizzate” che lavorano a orario d’ufficio come se le emergenze avessero il badge, mezzi fermi per giorni per un guasto banale, perché non esiste un muletto, o per un semplice lavaggio, perché non c’è un mezzo sostitutivo pronto, una cazzo di pianificazione.

Il personale? Insufficiente, stremato, spremuto fino all’osso. Turni massacranti, equipaggi ridotti all’osso, postazioni annunciate con tanto di fanfare e rimaste sulla carta. Altro che emergenza-urgenza: qui siamo all’emergenza dell’emergenza. Questo è il sistema Occhiuto–Miserendino (Azienda Zero)–Graziano (Asp Cosenza)–Borselli. Sempre e solo loro! I quattro cavalieri dell’apocalisse sanitaria calabrese. Un sistema inefficace per i cittadini, ma efficientissimo per chi lo governa. Perché mentre il servizio cola a picco, i premi di produzione arrivano puntuali. Premi. Di. Produzione. Per aver prodotto il nulla. O peggio, il disastro. E no, non è un segreto.

A Cosenza e provincia lo sanno tutti ormai. Sanno chi arriva davvero quando c’è da soccorrere qualcuno. Sanno chi bussa alla porta alle tre di notte. Sanno chi raccoglie i feriti sull’asfalto, chi entra nelle case, chi regge la paura delle famiglie. I volontari del soccorso. Ragazzi e ragazze. Uomini e donne. Spesso appena maggiorenni… vostri figli. Motivati, presenti, disponibili. Non importa che sia domenica, Natale, Capodanno… loro ci sono sempre. A tutte le ore. Tutti i giorni. Non per niente oltre il 60% del servizio di Emergenza-Urgenza (118 support) viene svolto proprio dai volontari del soccorso.

E qui va smontata una delle bugie più comode del sistema. Volontari non significa improvvisati. Non significa senza formazione. Non significa senza professionalità. Anzi. Volontario significa una sola cosa: che ciò che fa lo fa per passione. Per amore! E non esiste motivazione più grande per svolgere un servizio. Grazie alle associazioni di appartenenza, questi ragazzi si formano prima di salire su un’ambulanza. E continuano a formarsi dopo, con aggiornamenti continui. Molti sono studenti universitari in facoltà sanitarie. Il resto lo fa l’esperienza sul campo, quella vera, quella che non si impara dai protocolli, nei convegni o nei comunicati stampa. I volontari garantiscono capillarità, presenza, specie nelle aree montane, interne, dimenticate. Gestiscono emergenze H12 e H24. Tengono in piedi un sistema che altrimenti crollerebbe definitivamente. E non stiamo parlando di fantascienza. Al Nord è la normalità.

In molte regioni il 118 vive grazie a un’integrazione seria e strutturata con le associazioni di Pubblica Assistenza: Misericordie, Croce Rossa, ANPAS. Ambulanze d’emergenza, convenzionate ASP, gestite dal volontariato e Punti di Assistenza Territoriale (PAT), sempre un mix vincente pubblico e privato. I PAT (Punti di Assistenza Territoriale) non sono altro che strutture ambulatoriali che offrono assistenza sanitaria di base e specialistica direttamente ai cittadini, garantendo un punto di accesso continuo e non urgente, integrandosi con i Medici di Base e la Continuità Assistenziale (ex Guardia Medica) per decongestionare I pronto soccorso degli ospedali e fornire risposte rapide alle esigenze sanitarie locali. Un sistema misto, pubblico-volontariato, che funziona. Davvero. Da noi invece no. Non perché non sia possibile, ma perché non lo vogliono.

Nonostante la Co-programmazione e co-progettazione tra amministrazioni pubbliche e no-profit siano gli strumenti introdotti dalla riforma del 2018 che ha stravolto il passato con l’obiettivo di ri-disciplinare il no profit e l’impresa sociale. Questi strumenti rimangono armi spuntate finché non verranno definiti all’interno di una norma Regionale che stabilisca modalità, procedure e regole. Solo così amministrazioni pubbliche e terzo settore potranno lavorare insieme in termini di crescita comune e migliorare sensibilmente i servizi resi ai cittadini: servizi alla persona, servizi sanitari e socio-assistenziali. Naturalmente si vanno ad intaccare interessi politici e spartizioni di torte non indifferenti… e questo potrebbe essere uno dei motivi (il più credibile) per il quale, proprio la politica calabrese non ha interesse al che tutto ciò venga attuato.

In Calabria, le associazioni infatti vengono trattate come rimpiazzi, come facchini del disastro pubblico. I loro mezzi, spesso più nuovi, più sicuri e meglio manutenuti delle ambulanze di Occhiù comprate a peso d’oro, vengono usati come muletti per salvare i mezzi ASP in avaria o in manutenzione. Il paradosso è tutto qui: chi manda avanti il sistema viene umiliato, chi lo ha ridotto a questo stato viene premiato. Basterebbe poco per adeguarsi al Nord. Ma quel poco significherebbe perdere controllo, poltrone, appalti, rendite. E allora meglio lasciare tutto com’è. Con buona pace dei cittadini. E delle morti evitabili.

Ma c’è un errore gravissimo, forse il più grave di tutti, che la politica sanitaria calabrese sta commettendo: demotivare il volontariato del soccorso. Ed è un errore pericolosissimo. Perché quando mortifichi chi tiene in piedi il sistema, quando tratti come tappabuchi chi garantisce presenza, quando sfrutti senza riconoscere, senza tutele, senza prospettive, stai segando il ramo su cui sei seduto. Il volontariato non è infinito. Non è inesauribile. Non è indistruttibile. Questo non è malgoverno. È parassitismo istituzionalizzato. E prima o poi qualcuno dovrà spiegare perché, in Calabria, chi salva vite lo fa gratis e chi distrugge il sistema viene pagato a peso d’oro.