Le avventure del boss Tonino Forastefano alias “il diavolo”: da capoclan a Villa Verde fino al pentitismo

Il capo del clan è stato per un lungo periodo Antonio Forastefano, detto “il diavolo”, che ingaggiò una furibonda guerra con la cosca della criminalità nomade guidata da Franco Abbruzzese, inteso come “Dentuzzo”. All’inizio dello scorso decennio si susseguirono un gran numero di agguati e i Forastefano sembrarono assumere il predominio dell’area a discapito dei rivali. Poi intervenne la Dda di Catanzaro, con l’inchiesta “Omnia”, spedendo in carcere capo, sottocapo e affiliati. Tonino “il diavolo” finito in manette, dopo aver inutilmente tentato di ottenere la scarcerazione fingendosi “depresso” decise di collaborare con la giustizia. Sembrò la fine di tutto ma non fu così. Un altro ramo della famiglia si organizzò trovando un accordo con gli Abbruzzese: ne è nata una consorteria potentissima oggi impegnata in svariati settori, tra cui quello dello sfruttamento illegale delle risorse agricole.

LE RIVELAZIONI DEL PENTITO ANDREA MANTELLA 

Da qualche anno ormai sono diventati di pubblico dominio (e sono stati acquisiti anche dai giudici) i verbali dei pentiti vibonesi sull’allegra gestione della clinica psichiatrica “Villa Verde” di Donnici, dove molti esponenti della ‘ndrangheta svernavano senza problemi grazie alla connivenza dei medici (e non solo).

Stando ai racconti dei pentiti Andrea Mantella e Samuele Lo Vato, sarebbe stato Andrea Mantella a proporre il nome del medico cosentino Arturo Ambrosio quale consulente tecnico psichiatra per il boss di Cassano, Tonino Forastefano, il capo di Samuele Lo Vato.

“Ambrosio mi disse che l’incarico era difficile – afferma Mantella – e pretese fossero coinvolti lo psicologo Ruffolo ed il figlio Antonio e volle un anticipo di 20 mila euro. Ambrosio e Ruffolo effettuarono una visita a Forastefano nel carcere di Torino. Tornati a Villa Verde mi dicevano che Tonino Forastefano non era collaborativo perchè era curato nella persona, non perdeva peso, ricordo che Ambrosio diceva che Forastefano aveva addirittura il gel ai capelli. Riferì queste circostanze a Lo Vato. Quando venni scarcerato, nella mia azienda agricola di Vibo Valentia venni raggiunto da due ragazzi che si presentarono come uomini dei Forastefano e mi portarono due pizzini, uno di Lo Vato, l’altro della moglie di Forastefano. Tramite i pizzini seppi che era stato nominato perito di Forastefano un dottore di Catanzaro. Dissi loro che potevo verificare di avvicinarlo”.

Foto Zoom 24
Foto Zoom 24

Tonino Forastefano avrebbe così inscenato in carcere, su suggerimento dei medici, degli atti autolesionistici ferendosi con la rottura di una lampadina. Ma la “trovata” non servì a granchè.

“Invece di dimagrire, Forastefano si curava in carcere e mangiava pure tanta nutella”, spiega il collaboratore Samuele Lo Vato e nonostante la famiglia avesse pagato 20 mila euro ai medici, non ottenne gli effetti sperati.

Alla fine il boss di Cassano passò per primo fra le fila dei collaboratori di giustizia, confessando anche di aver preso materialmente parte a Gerocarne, nel Vibonese, all’agguato costato il 22 aprile 2002 la vita ai boss di Ariola, Vincenzo e Giuseppe Loielo.

Il passaggio fra le fila dei collaboratori di giustizia da parte di Tonino Forastefano era decisamente troppo per Andrea Mantella e Samuele Lo Vato che smisero così di interessarsi della scarcerazione del boss di Cassano e dei trattamenti sanitari di “favore” nei suoi riguardi.

All’epoca nè Samuele Lo Vato, nè Andrea Mantella avrebbero potuto immaginare che loro stessi, a distanza di qualche anno, avrebbero seguito la via di Tonino Forastefano collaborando con la giustizia.