Caro Carlo Parisi (segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria e membro della Giunta esecutiva della Federazione nazionale della stampa),
ti scrivo da giornalista eternamente precario.
Ho stima personale di te e lo dico senza accento di retorica ma le persone e i loro ruoli non sempre vanno di pieno passo nella considerazione.
In questi anni non mi sono iscritto alla Federazione della Stampa calabrese perché attendevo un cenno da parte tua sulle gravi disparità che vivono i giornalisti nella nostra regione.
Tranne la Rai, tutte le testate sono in difficoltà. Anche i giornali fanno fatica a mantenere gli standard e, se sì esclude quello più antico, gli altri non pagano i corrispettivi del contratto. Televisioni e radio sono nel grigiore di una drammatica crisi.
Esperienze coraggiose come giornali web vanno avanti tra mille difficoltà.
Tutto questo fa sì che in Calabria non più di 50 giornalisti abbiano il pieno contratto, altrettanti (considerando il Corallo-Fnsi) ne hanno uno azzoppato. Credo di peccare per eccesso.
La legge 150 non viene applicata negli uffici stampa ma ci sono rarissime eccezioni di cui tu non parli. Non una parola sull’assenza di uffici stampa negli enti pubblici e locali .
Le eccezioni, dicevo, ci sono.
Si tratta di pochissimi colleghi che vivono in privilegio in barba ad ogni legge.
Uno è il capo ufficio stampa della Giunta regionale che guadagna quanto un calciatore di serie B pur risultando dimesso dalla pubblica amministrazione dal 1995! Altri cinque, senza un concorso e senza una selezione, sono stati assunti dal Consiglio Regionale tranquillamente, con un codicillo incostituzionale.

Se a te e agli altri colleghi questo stillicidio va bene, a me indigna.
Indigna che il 90% dei.giornalisti calabresi (e ce ne sono alcuni, pochi, che sono davvero molto, molto bravi) facciano la fame, mentre altri sei vivano con contratti dorati e illegittimi.
Capisco che i rapporti consociati, a Catanzaro e a Reggio Calabria, mettono insieme politici e famiglie ma fino a quando avrò aria nei polmoni non accetterò discrasie che solo tu non vedi.
Mi pregio (leggi i verbali) di essere stato il primo commissario Corecom a imporre il pagamento dei contributi Inpgi. Era il massimo che potessi fare e l’ho fatto.
Non posso, però, pensare che queste vergognose sperequazioni sussistano nel silenzio del sindacato.
Per questo, mi iscrivo alla Fiom. Mi sento più rappresentato da metalmeccanico che da giornalista.
Spero che altri colleghi mi seguano. E spero che tu esca dal silenzio assordante che ti pervade.
Con affetto
Mario Campanella
Il giornalismo calabrese è nella melma da decenni. Da quando ci siamo liberati della dittatura di Nicolò, avallata senza battere ciglio da tutti quei dinosauri che ancora sguazzano nel pantano della professione e vorrebbero anche essere serviti e riveriti, non è cambiato quasi niente.
Le vergogne degli uffici stampa della Giunta e del Consiglio regionale sono soltanto la punta dell’iceberg di una situazione scandalosa e squallida.
Il Sindacato dei Giornalisti Calabresi è una montagna di merda: lo sanno tutti e tutela solo pochi privilegiati e pochi eletti, chiudendo entrambi gli occhi su vicende palesemente illegali. Il segretario è solo un pupazzetto che va in giro a farsi pubblicità e che ha la faccia come quella parte del corpo dove non sbatte mai il sole.
Non sono d’accordo con Campanella, tuttavia, quando consiglia l’iscrizione alla FIOM. Fatte salve pochissime eccezioni, anche questo spezzone di sindacato, che comunque fa ancora riferimento alla CGIL, non è molto diverso da quello dal quale, solo a parole, dice di volersi differenziare. Insomma, se il sindacato dei giornalisti fa schifo non possiamo certo dire che la FIOM sia molto meglio… (g. c.)