Abbiamo più volte, pubblicamente, espresso la nostra stima per Emilio Sirianni, il Presidente della sezione lavoro della Corte d’appello di Catanzaro, persona perbene, difensore del diritto, nemico dei potenti.
Uno degli aspetti importanti degli errori dei giudici di primo grado riguarda il contratto giornalistico.
Molti editori (ma anche molte aziende private o pubbliche) fanno contratti-capestro ai giornalisti per sfruttarli.
Contratti che nascondono una subordinazione vera e propria. E i giudici del lavoro spesso ci cascano. Alessandro Bozzo fu uno dei tanti sfruttati.
La subordinazione giornalistica, secondo la Corte di Cassazione, ha degli elementi precisi, che vanno ben al di là del nomen juris, cioè il nome apposto sul contratto.
Essi sono: la continuità del rapporto, l’assoggettamento alle disposizioni aziendali, soprattutto il rendersi a disposizione tra una prestazione e l’altra, elemento cardine.
In sostanza, il giornalista può anche lavorare da casa o andare in redazione poche volte ma essere subordinato se sono presenti gli altri elementi.
Queste cose i giudici di primo grado tendono a dimenticarle, per cui capita spesso che arrivino sentenze sfavorevoli.
La Corte di appello dovrà trattarne tanti nei prossimi mesi (colleghi del Quotidiano in testa) e ci auguriamo che faccia giustizia, riparando ad errori assurdi in punta di diritto.
Ci sono contratti in cui era previsto un rapporto autonomo ma c’era scritto che bisognava tenersi a disposizione tra una prestazione e l’altra (!) e sottoporre articoli ai superiori. Basterebbe già questo per ribaltare le sentenze.