La morte del piccolo Giancarlo. Fonti non ha dubbi: “L’hanno lasciato morire annegato”

Carmine Manna

Al porto delle nebbie vanno avanti, senza soluzione di continuità, le sceneggiate del nuovo capobanda della sezione penale, tale Enrico Di Dedda. Un giudice (?!?) scartato da tutti i Tribunali d’Italia ed approdato a Cosenza dove vorrebbe far valere la sua molto presunta equità. In realtà, esegue come un cagnolino fedele ed ammaestrato tutti gli ordini che gli vengono impartiti e – come da scontatissimo copione – è forte con i deboli e debole con i forti. 

Da qualche mese ha preso il posto dell’unico giudice credibile che lavorava a Cosenza (Marco Bilotta) nel delicato processo per la morte del piccolo Giancarlo Esposito nella piscina-fogna di Campagnano. Ieri è stato ascoltato il medico legale Arcangelo Fonti come consulente delle parti civili. Sul banco degli imputati, a parte le istruttrici, il responsabile numero uno della morte del piccolo Giancarlo: il titolare della piscina-fogna di Campagnano, Carmine Manna, ex assessore della Giunta Occhiuto. Un borghese massone che sarà difficilissimo condannare. Specie con un soggetto prono e servile al potere come Di Dedda. 

«Fonti, specializzato in rianimazione, ha partecipato all’autopsia di Giancarlo – scrivono in una nota i legali delle parti civili, Francesco Chiaia, Ugo Ledonne ed Elvira Domanico -. Rispondendo alle domande dell’avvocato Francesco Chiaia, che rappresenta le parti civili, ha confermato che il piccolo è deceduto a seguito di annegamento in acqua dolce e ha escluso che il bambino avesse patologie che avrebbero potuto determinare l’annegamento.

Nell’esame autoptico – sottolineano – si è rilevato che alcune lesioni del cavo faringeo erano dovute alle manovre rianimatorie effettuate dai medici ma il bambino era già morto. A domanda del pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara, Fonti ha chiarito che il defibrillatore poteva essere utile ma solo dopo che i soccorsi fossero stati prestati nell’arco temporale dei 3-5 minuti utili a salvare la vita in casi di annegamento.

All’avvocato Sabrina Rondinelli che chiedeva sulla presenza dell’edema polmonare – sostengono – ha chiarito che era un effetto dell’annegamento. L’avvocato Chiaia ha fatto notare che nel caso del povero Giancarlo l’edema era un effetto dell’annegamento perché era morto per asfissia da inalazione di acqua dolce. A domanda del giudice Enrico Di Dedda se le manovre effettuate erano state inutili, Fonti ha confermato il dato perché il bambino era già deceduto in acqua. È stata acquisita la consulenza e la letteratura scientifica citata dal dottore Fonti – scrivono alla fine i legali – che ha concluso come hanno concluso i consulenti del pm: il bambino è morto annegato».