Qualche tempo fa, a Cosenza, il sindaco-podestà ne aveva inventata un’altra delle sue: aveva nominato responsabile dell’Ufficio Stampa del Comune un dirigente di sua stretta fiducia, tra l’altro senza requisiti e titoli e nipote del procuratore capo, che non è neanche iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Una vicenda che in qualsiasi regione italiana (esclusa la Calabria, ovviamente…) avrebbe provocato la dura reazione dell’Ordine. E invece qui silenzio totale, non è successo nulla. Per liberarci del rampollo pappone e raccomandato fino al midollo c’è voluto un provvidenziale dissesto finanziario che si è portato via il nipote del procuratore e un’altra ventina di parassiti sociali. Ma ripercorrere la triste storia dell’Ordine dei Giornalisti in Calabria – – anche in queste ore nelle quali viene diffuso un tragicomico appello alla “libertà” (ma quale?) di stampa firmato anche dal presidente dell’Ordine… – aiuterà anche chi non fa parte di questo mondo a capire meglio molte dinamiche.
In Italia ma soprattutto in Calabria l’Ordine dei Giornalisti è stato ed è ancora funzionale alle esigenze di una Casta senza vergogna, che pensa solo a riempirsi le tasche. E’ un Ordine che non serve a nulla tranne che a loro, i privilegiati e gli unti dal potere massonico e politico.
Ripubblichiamo qui di seguito un saggio di Fulvio Mazza risalente al 2003 sulla triste storia dell’Ordine dei Giornalisti calabrese. Raccomandiamo a tutti di annotare che, quando si fa riferimento alle testate giornalistiche bisogna considerare la loro politica editoriale di allora, che spesso non è quella di oggi.
adottata come strategia
di Fulvio Mazza
L’esempio emblematico, in Calabria, della tirannia
di Nicolò, subita pecorosamente da (quasi) tutti
Questo articolo-saggio è stato pubblicato sul n. 1/2003 del trimestrale Comunicando (diretto da Pantaleone Sergi assieme a Domenico Carzo, Carlo Macrì, Gianfranco Manfredi e Filippo Veltri) sotto il titolo L’Ordine regnava in Calabria.
Lo ripubblichiamo affinché rimanga impressa anche nella Rete la memoria storica di questa triste vicenda fatta da tanti pecoroni, un po’ di indipendentisti individualisti e solo qualche vero aperto oppositore.
La redazione
PRIMA PARTE (https://www.iacchite.blog/giornalisti-la-codardia-adottata-strategia-fulvio-mazza/).
SECONDA PARTE
3.5 Nicolò “caput mundi”
In stretta connessione con il precedente dato dell’acquiescenza degli organismi nazionali verso la situazione calabrese è quello relativo all’occupazione – diremmo quasi “manu militari” – dei vari organismi di rappresentanza regionale della categoria: Nicolò era, difatti, rappresentante nazionale e regionale della Casagit, dell’Inpgi e di quant’altro ci fosse o ci potesse essere. In qualche caso riusciva a rappresentare sia i giornalisti in servizio sia quelli in pensione, sdoppiandosi nei due ruoli con impareggiabile abilità in modo da essere ubiquo sia a livello nazionale che a livello regionale. Di tanto in tanto, per problemi statutari o quando – raramente – qualche vertice nazionale opponeva una più pressante perplessità, Nicolò cedeva provvisoriamente (ma solo formalmente) le redini a qualcuno dei suoi tanti “uomini di paglia”.
In altri casi – vedi il sindacato – quando l’incompatibilità era più evidente e meno facilmente celabile, adottava il sistema dell’occupazione di un incarico ad hoc che gli permetteva di dirigere effettivamente l’organismo. Ci riferiamo alla – fantomatica – Consulta sindacale.
A ogni buon conto, e in estrema sintesi, quando non era presidente, segretario, fiduciario ecc. di un “qualcosa”, ne era quasi sempre vicepresidente, vicesegretario, vicefiduciario ecc.
Molto più contrastato è stato l’appeal che l’Ordine calabrese – e, ovviamente, Nicolò – ha esercitato presso gli stessi mass media. Sui giornali calabresi l’ordine veniva citato abbastanza poco. Ma quando ciò avveniva, era per esprimergli complimenti a raffica. Da questa linea si discostavano platealmente il Quotidiano e il bisettimanale il Crotonese che – specialmente quest’ultimo – lo ignoravano abbondantemente.
Ma qualche annotazione va effettuata anche relativamente agli altri organi di stampa. Prendendo in esame, per esempio, il quotidiano egemone della Calabria, la Gazzetta del Sud, notiamo come le notizie dedicate all’ordine e al suo “padrone” erano sempre assai defilate. Così non era stato invece agli esordi della sua presidenza, quando tale giornale aprì le sue pagine alle numerose “difese” di Nicolò, la cui visione e la cui gestione erano fortemente criticate da Franco Martelli ed Elio Fata (poco dopo passati alla sua “corte”) su Il Giornale di Calabria (di Ardenti).
Nel versante contrario, invece, la Rai regionale che, indipendentemente dai vari responsabili di redazione del momento, enfatizzava sempre – spesso con “opinabile” rilievo (si noti l’apposito bizantinismo) – le varie manifestazioni, come già accennato, poco più che conviviali, che vedevano Nicolò sempre enfaticamente al centro dell’attenzione.
Una piccola ma combattiva voce di opposizione a tale gestione dell’ordine fu, di contro, negli anni Ottanta e Novanta, il piccolo foglio di controinformazione Cultura Calabrese (diretto da Giuseppe Grisolia e, dopo la sua morte, dalla figlia Rosanna). Una forte esaltazione della sua persona è invece venuta dalla cosiddetta “società civile” calabrese: proprio da quella che era la maggiore vittima (nel senso che era la fruitrice di una cattiva informazione generata dalla pessima gestione dell’ordine). Se, difatti, vogliamo far coincidere la società civile con le associazioni, e poi queste ultime con i premi culturali, dobbiamo dire che Nicolò è stato per trent’anni il paladino della stessa società civile calabrese. Riteniamo che egli sia stato il più premiato fra tutti gli esponenti regionali. È chiaro che i due assunti iniziali non sono sempre validi e che – soprattutto – premiare Nicolò era una scusa per far “passare” la notizia sui giornali. Ma anche questo è un dato da valutare.
In quest’ultimo contesto un ruolo di oggettiva connivenza è stato costantemente svolto anche dai padri francescani di Paola che – pur ben sapendo di che personaggio si trattasse – gli hanno sempre tributato gran salamelecchi a ogni festa di S. Francesco di Sales.
Pessima stampa Nicolò e l’Ordine hanno invece “goduto” sugli organi d’informazione nazionale specializzata. Quando su Prima Comunicazione – e, ancor di più, su www.il barbieredellasera.com, su www.larespublica.com, e su http://groups.yahoo.com/group/quartopotere – compare il nome di Nicolò, esso compare quasi sempre solo per raccontare qualche sua nefandezza.
4. Le prime crepe: il Crotonese, Cam Teletre, L’Inserto di Calabria e il Quotidiano
In questo contesto generale, le prime crepe si incominciano a vedere negli anni Ottanta, quando anche le nuove tecnologie favoriscono la nascita di testate autonome.
Una delle più significative, benché quantitativamente ancora insufficiente, è rappresentata dal settimanale (poi bisettimanale) il Crotonese. Il suo editore-direttore, Domenico Napolitano, riesce a metter su un giornale, nonostante (anzi “contro”) l’Ordine regionale che – tra l’altro – tenta, ma senza riuscirvi, di bloccare l’iscrizione all’albo dei primi pubblicisti. Un effetto dell’antagonismo del bisettimanale è che ancora oggi, a quasi un quarto di secolo di distanza dall’uscita del primo numero (1980), in tale giornale non esiste alcun giornalista professionista. Se, difatti, Napolitano è riuscito a imporre – carte alla mano e anche grazie a una serie di ricorsi – l’iscrizione di un sempre maggior numero di pubblicisti, è stato bloccato nell’avvio di qualsiasi ipotesi di praticantato professionale.
Dopo una decina di anni, è seguito il caso della piccola emittente televisiva cosentina, Cam Teletre, ove il direttore responsabile, il frate cappuccino Vittorino Vivacqua, venne sospeso dall’ordine per non aver accettato l’“inginocchiamento” a Nicolò.
Poco dopo avvenne la clamorosa protesta di Maurizio De Fazio che, dagli schermi dell’allora emergente emittente Vuellesette-Cinquestelle, di Lamezia Terme, si imbavagliò platealmente contro l’ostruzionismo che l’Ordine – e il sindacato – ponevano nei confronti della citata emittente (e contro la decisione dell’ordine di non iscriverlo come professionista).
Per certi versi analoga a quella de il Crotonese è la vicenda de L’Inserto di Calabria. Si trattava di un settimanale che, promosso nel 1993 da un gruppo di giovani editori, scontava il “reato” di aver tentato anch’esso un avvio senza l’abituale genuflessione. A nulla in questo caso era valso il fatto che il direttore responsabile del giornale fosse Francesco Gallina, silenzioso vicepresidente dello stesso Ordine.
Al contrario de il Crotonese (per l’isolazionismo di Napolitano) e di Cam Teletre (per vigliaccheria professionale delle testate locali) questa fu invece una vicenda che deflagrò anche in pubblico. Gallina – spalleggiato dai giovani editori (Donatella Guido, che successivamente intraprese con successo anche importanti ruoli giornalistici, Francesco Giannone, Raffaele Giordanelli, Francesco Schirinzi) – decise difatti di reagire fortemente contro la “solita” prepotenza anche rendendo pubblica, tramite le colonne dello stesso settimanale, la problematica. Pure in questo caso, al di là di qualche eccezione, la categoria si mostrò silente.
La svolta si ebbe con il Quotidiano. Come è noto, il Quotidiano della Calabria (allora il Quotidiano di Cosenza e provincia) nasceva nel 1995 come filiazione, benché indiretta, dello stesso Inserto. E questa può essere considerata la vera e propria pietra miliare sulla quale si innesteranno poi diverse posizioni in favore della “liberazione” della categoria. Per la prima volta, difatti, nasceva in Calabria un quotidiano diretto da un giornalista, Pantaleone Sergi, che aveva l’autorevolezza (e qualche mezzo editoriale in più rispetto alla citata esperienza “garibaldina” de il Crotonese) per opporsi con efficacia ai soliti tentativi di controllo messi in atto da Nicolò.
Su tali colonne, tra l’altro – e soprattutto durante la successiva direzione di Ennio Simeone – sono stati pubblicati diversi articoli dello stesso Simeone di denuncia sul deprimente stato dell’Ordine.
2 – (continua)