Nell’ultima seduta prima della pausa natalizia, sono state approvate dal Consiglio regionale calabrese le norme di attuazione della legge quadro in materia di incendi boschivi n. 353/2000. Si colma così un vuoto che durava da 17 anni. Ma rimangono numerosi interrogativi, primo tra tutti quello che riguarda la corretta comprensione dei moventi (economici) che si nascondono dietro la maggior parte degli incendi.
di Matteo Olivieri
E’ stato il tormentone della scorsa estate, quando un governatore disinformato e sempre più abbandonato alla sua stessa deriva tentava di convincere i calabresi dell’esistenza della legge 353/2000 in materia di prevenzione degli incendi boschivi, e assicurava stizzito che nessun finanziamento sarebbe mai andato ai proprietari di suoli percorsi dal fuoco. «E’ la legge che lo vieta», chiosava rabbiosamente. Come si ricorderà, in una serie di articoli a mia firma rivelavo l’esistenza di un bando PSR da circa 70 milioni di euro a valere sulla Misura 8, che rischiava di finanziare anche comportamenti dolosi messi in atto da proprietari terrieri senza scrupoli (a proposito, di quel bando non si sa più nulla, ndr). Al bando infatti, potevano partecipare anche soggetti non dotati di piano di gestione forestale regolarmente approvato, o proprietari di suoli in Comuni che non aggiornavano i catasti dei suoli percorsi da incendi.

Quella certezza nello scrivere mi derivava dalla mia esperienza sul campo, visto che già in passato mi sono occupato di alcune scabrose vicende attinenti alla mancata applicazione della stessa legge 353/2000, che già allora avevano rivelato l’esistenza di pericolose falle nel sistema dei controlli di legge. Mi riferisco in particolare alla vicenda della discarica di Castrolibero e a quella ancor più grave della discarica di Battaglina, dove pur in presenza di ripetuti incendi, le autorità comunali e regionali hanno comunque autorizzato in passato lavori di urbanizzazione e di trasformazione profonda dei luoghi in barba alla legge. Nello stesso periodo di tardo Agosto, in Consiglio regionale cominciava l’iter legislativo per l’approvazione anche in Calabria di una legge antincendi, promossa dal consigliere Domenico Bevacqua. Io venni venni invitato da alcuni conoscenti a dare un contributo tecnico utile alla stesura della primissima bozza di legge che nel frattempo alcune associazione ambientaliste contribuivano ad elaborare. Pertanto, conosco questa legge fin dal suo concepimento. Dopo varie riunioni e alcuni documenti di lavoro che mi fu chiesto di produrre, mi divenne chiaro che l’intenzione generale era quella di pervenire ad una legge che “accontentasse” tutti, scialba, né carne né pesce, che avrebbe mantenuto aperta una finestra di dialogo con i rappresentanti istituzionali (sempre meno autorevoli) della Regione Calabria. A mio avviso, invece, era necessario un muro contro muro, per spezzare gli artigli dell’affarismo attuato con i fondi comunitari e con la compiacenza di molti professionisti. Per questo motivo, ben presto il mio interesse alla discussione venne meno.

Le mie preoccupazioni di allora si sono però materializzate a distanza di mesi, con l’approvazione di quella proposta di legge in Consiglio Regionale nella recente seduta del 19 dicembre, ultima prima della pausa natalizia. Infatti, la legge manca di indirizzare completamente un punto fondamentale, ovvero la facilità per i Comuni di aggirare i divieti posti dalla stessa legge per combattere eventuali speculazioni di privati con la complicità di una certa politica malata. Per esempio, la legge 353/2000 all’art. 10 comma 1 prevede che «le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni», ma «è comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente». E purtroppo sappiamo che in Calabria sono state autorizzate numerose opere pubbliche con la pretestuosa giustificazione che fossero «necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente». Pertanto, anche qualora i Comuni provvedessero annualmente all’aggiornamento del catasto degli incendi, non si disporrebbe comunque di strumenti legislativi efficaci per impedire il verificarsi di eventuali abusi amministrativi compiuti nel nome della «salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente». A mio avviso, invece, una buona legge regionale avrebbe dovuto porre al centro tali criticità, mettendo un freno alla discrezionalità della Pubblica Amministrazione nel concedere autorizzazioni o deroghe, attraverso criteri chiari e stringenti. A tal riguardo, giova ricordare che, anche nel caso di trasgressioni al divieto di realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture «finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive su soprassuoli percorsi dal fuoco», la legge prevede ammende massime fino a 51.645 euro e l’arresto fino a due anni nei casi più gravi. Bazzecole.

I motivi del mio dissenso alla legge regionale antincendi sono dunque tre. Innanzitutto perché non risultano essere state fatte audizioni ufficiali prima della approvazione della legge in Consiglio Regionale. Questo vuol dire che è una legge che non riconosce né recepisce le falle che rischiano di mandare nuovamente in blocco il sistema dei controlli democratici. Poi, perché la legge non contempla neppure tutte le misure di prevenzione degli incendi boschivi previste dalla legge quadro nazionale, ma solo una parte: manca la previsione di interventi sostitutivi nel caso in cui il proprietario sia inadempiente alla pulizia del fondo (come impone la legge nazionale), e si fa unicamente riferimento a sanzioni esigue quando il danno ormai è fatto («da euro 500 a euro 2.500 per chi non provvede alle necessarie opere di sicurezza e fasce protettive, ripristino di viali parafuoco, potature e pulizia delle cunette e scarpate stradali e ferroviarie»). Così pure si parla solo di ricostituzione dei boschi danneggiati dal fuoco a carico della Regione e di altre operazioni preventive su vasta scala, quali la realizzazione di fasce tagliafuoco, serbatoi e punti di approvvigionamento idrico, strade forestali di servizio e piste di attraversamento, torri di avvistamento, “tagli imposti” e uso di “fuoco prescritto” per legge. Tutte iniziative apparentemente encomiabili, ma che rischiano di legalizzare ulteriori tagli boschivi “benedetti” dalla legge regionale, dimenticando che gli incendi si combattono da terra prima che questi scoppino, come è stato riconosciuto anche dall’Arma dei Carabinieri nel corso di un recente evento svoltosi all’Università della Calabria, dove si è portato a riferimento il caso virtuoso del Parco nazionale dell’Aspromonte.

Inoltre, nella legge non vi è alcuna menzione del ruolo delle associazioni di protezione ambientale di rilevanza nazionale nella fase di consulenza alla predisposizione del Piano Regionale AIB (Anti Incendi Boschivi) che andrà redatto annualmente, nè vi è traccia della volontà concreta di voler rendere realmente efficienti ed operative le squadre a terra, ma si parla solo di «stipulare contratti per l’impiego di velivoli nella lotta attiva agli incendi boschivi». Rischiamo così di ritrovarci ancora una volta con squadre a terra chiamate a contrastare gli incendi con secchiello e paletta, invece che con mezzi moderni e con equipaggiamenti in grado di ritardare e spegnere i roghi, o attraverso l’uso di sistemi di monitoraggio satellitare. Infine, ecco il punto più controverso:“La mancata redazione o aggiornamento del catasto incendi e della relativa cartografia da parte dei comuni puòcostituire motivo di esclusione degli stessi dai bandi e dai finanziamenti regionali”. Quindi, si tratta di una possibilità e non di un obbligo! Peraltro, questo mancato obbligo smentisce clamorosamente la versione fornita lo scorso mese di agosto dal governatore Oliverio, che tramite social network aveva affermato che «nessun finanziamento sarà concesso sulle aree interessate da incendi. La legge 353 del 2000 lo vieta espressamente».

Insomma, la legge n. 269/10 avente titolo “Norme di attuazione della legge 21 novembre 2000, n. 353 (legge quadro in materia di incendi boschivi)”, approvata dal Consiglio Regionale in data 19 dicembre 2017 è una legge al ribasso, nata male, ed è giusto che le persone lo sappiano. Peraltro, in più punti la legge risulta essere il copia-incolla di leggi di altre regioni italiane. Per esempio, la frase «La Regione riconosce, altresì, l’interesse pubblico della gestione forestale condotta secondo criteri di sostenibilità ambientale ai fini della corretta conduzione delle attività selvicolturali orientate a favorire la capacità di resilienza del sistema bosco» è stata ripresa per intero dalla legge della Regione Sardegna, mentre invece manca qualsiasi riferimento alla individuazione delle «cause determinanti ed i fattori predisponenti l’incendio», come pure manca l’obbligo in capo ai Comuni di redigere con apposita cartografia tematica aggiornata «le aree a rischio di incendio boschivo»(avente valore di vincolo nella pianificazione territoriale), come invece viene prescritto dalla legge quadro nazionale. Ritengo, anche su questo punto, che la Calabria meritasse (meriti) qualcosa di più. Ma – a quanto pare – i rappresentanti politici sono soddisfatti così e ognuno ha un buon motivo per esultare: Oliverio perché «ora disponiamo di uno strumento che renderà più efficace il contrasto al fenomeno degli incendi»; Bevacqua perché si tratta di «regole attese da 17 anni», le quali eviteranno che «le devastazioni dell’estate scorsa si possano ripetere in futuro». Le associazioni ambientaliste e quelle di protezione ambientale, che materialmente hanno contribuito a scrivere la legge, invece tacciono. Buon Natale a tutti!