di Luigi Guido
La storia della “Fiat del Mezzogiorno”, tale era definita l’impresa umanitaria dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, nasce il 2 febbraio dell’Anno del Signore 1952.
Il Padreterno volle che in quel di Serra D’Aiello giungesse un umile parroco, originario di una località del Tirreno cosentino, poco distante dal comune serrese. Don Giulio Sesti Osséo mette piede in queste colline litoranee di Amantea in un’epoca in cui la depressione economica e culturale, più di sempre, è padrona assoluta.
Don Giulio ha i suoi natali nel limitrofo Belmonte Calabro. Serra D’Aiello, poco più a valle del comprensorio di Aiello Calabro e appena a monte di Campora San Giovanni, gode di poche case arroccate, asini e qualche aratro.
Della Grande Guerra s’incomincia a viverne il sollievo della fine. Un’idea di “sviluppo” è ancora del tutto inconcepibile. Non accade nulla in quel lembo di terra dimenticato – come usava dirsi – da Dio e dagli uomini. È solo nel 1937 che Serra D’Aiello ottiene lo status di comune a sé stante. Il 1991 è l’anno in cui il paese raggiunge il più alto numero di residenti della sua storia, con 1076 persone: quasi tutte impegnate nella grande azienda che l’Ipg costituiva in quel momento.
A quattro anni dal suo insediamento, Don Giulio ha già conquistato l’amore dei Serresi. Ma nessuno di loro pensava che l’umiltà, la disponibilità, l’apertura, la benevolenza del parroco avrebbero, di lì a poco, fondato la più grande opera umanitaria che la Calabria possa ricordare o ricorderà.
Nell’estate del ’56 Don Giulio incontra Maruzzella, un’anziana donna abbandonata a se stessa e alla sua malattia. La incontra sporca, malandata, semincosciente. Uno scarto d’umanità. Il prete non indugia. Prende con sé la sventurata, apre la porta di una sorta di magazzino, posto proprio di fronte la parrocchia, e fornisce alla donna tutte le cure necessarie a restituirle la perduta dignità.
Da quel giorno Maruzzella è una persona, in carne, ossa e spirito. E amore. Un amore che sarà, ben presto, l’embrione della prima fondazione dell’opera. Don Giulio non ha nulla. A parte il desiderio di far qualcosa per quella che ormai è la sua gente. Alla fine del 1959 decide di fondare la Canonica. La prima che la parrocchia di Serra possa ricordare.
La Canonica diventa un luogo capace di ospitare altre persone che, come Maruzzella, vivono nella diuturna sofferenza dell’abbandono e della malattia. I primi quattro o cinque reietti del paese, Don Giulio può così finalmente ospitarli in questi nuovi locali.
Ben presto si sparge la voce. A Serra D’Aiello c’è qualcuno che dà ospitalità e fornisce cura a chi altrimenti sarebbe condannato a una vita infernale. Si arriva a metà degli anni ’60 e la Canonica è già un luogo affollato di una trentina di persone: alle quali Don Giulio badava a partire dal nulla.
Il prete s’è dato da fare in ogni modo per garantire un aiuto a queste persone. Egli non aveva alcun mezzo. Ha però fatto leva sulla buona propensione della gente a dargli una mano. Così il parroco di Serra raccoglieva una questua tutta destinata ai suoi ospiti. Tra libere offerte, donazioni volontarie e aiuti di vario genere, Don Giulio ha iniziato a ben sperare in qualcosa di meglio per i suoi ospiti.
Non è ancora superata la metà degli anni ’60 che il parroco decide di progettare una struttura d’accoglienza. Ecco allora che entra in gioco la Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania, che accorda la sua fiducia al prete ma, non senza garanzie: saranno infatti i parenti del prete in Belmonte, a far da garanti.
La Carical finanzia la prima costruzione. Il primo edificio viene inaugurato a dicembre del 1967 (presiede la Curia cosentina, all’epoca, il vescovo Picchinenna). È una struttura modesta per quanto importante: può dare ospitalità a 80 persone. Ricorda qui, molto da vicino, quella che molti anni dopo venne realizzata nella città di Cosenza da un frate: tal Padre Fedele Bisceglia. L’opera del frate si chiamava Oasi Francescana: un’istituto che, per molti aspetti, ha una comune maledizione con l’Istituto Serrese.
L’Ente deputato ad erogare finanziamenti per strutture come l’IPG XXIII, era ancora l’amministrazione provinciale con la quale Don Giulio riuscì a sottoscrivere una convenzione. Occorreranno undici anni ancora, prima che l’Italia chiudesse i manicomi (con la legge 180, Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, del 13 maggio 1978, cosidetta legge Basaglia). Aboliti i manicomi, la notizia della struttura di Serra d’Aiello, “come una freccia dall’arco scocca”, arriva veloce alla vicina Nocera Inferiore.
L’amministrazione provinciale di Cosenza diventa un vero e proprio canale di accesso per quanti non potevano più essere “trattenuti” nel manicomio di Nocera. Iniziano così i trasferimenti a Serra D’Aiello e arrivano le anche rette accordate dalla Provincia: che ammontavano a 1000 lire giornaliere per ciascun posto letto.
Don Giulio va avanti. Nei primi anni ’70 costruisce un altro edificio, inaugurato nel 1975. I posti letto salgono a 200. Le richieste aumentano. L’Istituto Papa Giovanni XXIII è già una realtà di riferimento per l’intero Mezzogiorno d’Italia.
Il prete realizza altri due edifici: uno nel 1980 e l’altro nel 1985. L’Istituto è capace di ospitare ben 750 persone, assistite da altrettanti operatori: si pensi, un assistente dedicato a ciascun singolo ospite. Dio aveva iniziato a occuparsi di quel lembo di terra. Nel paese in cui l’occupazione era pari a zero, per assenza totale di attività (a parte qualche artigiano), lavora da quel momento in poi il 94% della popolazione. Un vero e proprio boom.
Dopo la realizzazione del secondo edificio, Don Giulio Sesti Osséo inizia a gettare le basi per il futuro dell’opera. I proventi dell’attività erano elevatissimi. Il prete non ha mai mostrato interesse personale alle ricchezze che andava accumulando.
Nel 1976 egli chiese e ottenne il riconoscimento giuridico dell’Istituto, al quale donò l’intero patrimonio mobiliare e immobiliare: soldi liquidi, terreni, case, attrezzature, mobili, suppellettili. Le proprietà terriere che aveva incominciato ad acquistare già sin dagli inizi degli anni ’70, sparse tra i comuni di Aiello Calabro, Cleto, Serra D’Aiello e Campora San Giovanni, arrivano ad un’estensione di centomila metri quadrati (100 ettari).
Da queste terre proveniva ogni ben di Dio. Persino nei periodi più bui della storia dell’Istituto (dal 1994 in poi), l’azienda agricola era capace di sopperire all’assenza di liquidità che talvolta costringeva il prete a ritardare il pagamento degli stipendi.
C’era di tutto. Si produceva tutto quanto si può produrre in un’azienda. Gli unici acquisti di beni di consumo che Don Giulio doveva effettuare erano quelli relativi alla pulizia o manutenzione dei locali. A tutto il resto pensava Madre Terra e le sue creature: latte e derivati (latticini e formaggi), carni rosse e bianche, uova, graminacee (orzo, avena, grano, mais), ortaggi d’ogni specie, verdure e frutta per ogni stagione. E poi pane, conserve alimentari, insaccati. Tutto, appunto. Ed è proverbiale come di tutto ciò Don Giulio, a tarda sera, consumasse soltanto una «’nsalata ‘i pimmadori».
Era davvero il tempo della grazia: forse troppa, per chi stava già bramandone la predazione. È da questo momento che le sorti del benefattore dal cuore d’oro vengono stravolte, e Don Giulio viene gioco forza indotto in errore.
C’è chi parla di pressioni politiche, chi di previsioni sballate. La sua voce era invece di premura: «Devo aiutare i giovani».
Sta di fatto che a cavallo tra il 1993 e il 1994 Don Giulio Sesti Osséo dà luogo ad una massiccia campagna di assunzioni. Raddoppiando o, letteralmente, triplicando il personale. Nulla e nessuno riuscì a dissuaderlo. Neppure i suoi più stretti collaboratori che vedevano, in quell’idea, il pericolo di un fallimento.
Così è che nel giro di un anno e mezzo tra i padiglioni della struttura assistenziale si aggirano ben 1600 dipendenti. L’azienda agricola è invece gestita da almeno 200 unità lavorative. È così che le risorse, in breve tempo, diventano del tutto insufficienti ed è in questo periodo che il personale inizia a subire ritardi nel pagamento degli stipendi.
La macchina era ormai mastodontica e occorreva un rimedio. Immediato. A quel punto il prete incomincia a convocare i dipendenti che, «per lui avrebbero fatto qualsiasi cosa».
Ma gli interessi dell’impresa andavano ormai troppo al di là delle intenzioni del buon prete. È da questo momento che una sorta di “associazione occulta”, costituita dall’ex Carical e dall’alta prelatura calabrese, inizia a ordire la sua oscura trama…
2 – (continua)