Dopo quattro anni il Tribunale di Cosenza ha finalmente detto stop alla telenovela
Fonte: Giornalisti Italia
COSENZA – Dopo quattro anni di inattività, il Tribunale di Cosenza ha emesso la sentenza dichiarativa di fallimento del Gruppo editoriale C&C, la società guidata da Alfredo Citrigno che editava il quotidiano L’Ora della Calabria.
L’udienza per lo stato passivo è stata fissata al 27 novembre 2018. In quella data il giudice Giusi Ianni e il curatore nominato dal tribunale, Nardo, decideranno sull’ammissione dei crediti che i giornalisti, così come il resto del personale, vantano nei confronti dell’azienda che ha messo fine alle pubblicazioni del giornale il 18 aprile 2014.
Quel giorno il liquidatore scelto dalla famiglia Citrigno, Giuseppe Bilotta, comunicò, appunto, al direttore Luciano Regolo ed a tutta la redazione la decisione di sospendere le pubblicazioni e, di lì a breve, oscurò, in maniera unilaterale, il sito internet del quotidiano, motivandolo come un costo impossibile da sostenere in vista di possibili cause legali.
Decisione, quella di sospendere le pubblicazioni, arrivata a due mesi di distanza dalla famosa telefonata fra lo stampatore Umberto De Rose e Alfredo Citrigno (figlio di Pietro, già editore di “Calabria Ora”, nome sostituito da “L’Ora della Calabria” nell’agosto 2013). La conversazione telefonica venne registrata dal direttore Luciano Regolo mentre De Rose spiegava all’editore Alfredo Citrigno di non pubblicare la notizia relativa ad un’indagine a carico di Andrea Gentile (le accuse nei suoi confronti sono poi tutte cadute), figlio del senatore Tonino.
È quella la telefonata in cui de De Rose parla del «cinghiale ferito che ammazza tutti» e dei guai, per la famiglia Citrigno, se la notizia fosse arrivata nelle edicole. Il giornale non finì mai fra le mani dei lettori e una perizia disposta dalla Procura di Cosenza ha accertato che quella notte non ci fu nessun guasto alla rotativa, come De Rose (indagato per tentata violenza privata dopo quella vicenda), aveva affermato.
Durante le udienze del processo noto come “Oragate” è emerso che un tecnico falsificò il documento che accertava la rottura della rotativa.
La storia de L’Ora della Calabria inizia nel 2006 con la testata Calabria Ora e Paride Leporace direttore. Arriva in edicola il 14 marzo editata dalla Cooperativa Editoriale calabrese guidata dagli imprenditori Piero Citrigno e Fausto Aquino.
L’anno successivo la direzione del giornale passa a Paolo Pollichieni, mentre la società editrice diventa la Paese Sera editoriale sempre riconducibile ai due imprenditori cosentini. La direzione Pollichieni si interrompe il 19 luglio 2010 per contrasti con la proprietà sulla linea politica del giornale. Con il direttore dell’epoca se ne va tutto il gruppo fondativo del giornale.
Dopo qualche giorno di transizione con la direzione di Fausto Aquino, a dirigere Calabria Ora arriva Piero Sansonetti, che lascerà a dicembre 2013. Sotto la guida di Sansonetti cambia ancora il nome della società editrice, che diventa Gruppo editoriale C&C, e cambia anche il nome del giornale in L’Ora della Calabria.
Dopo la gestione Sansonetti arriva quella di Luciano Regolo, che dona nuova linfa al quotidiano e al corpo redazionale. Il giornale abbraccia le lotte contro la malapolitica e quelle a sostegno dei diritti dei lavoratori.
Il culmine arriva con l’inchiesta su Andrea Gentile ma, da quel giorno in poi, L’Ora della Calabria si avvia verso la chiusura e i lavoratori ne chiederanno il fallimento. Ad aprile del 2014, infatti, Bilotta, nominato intanto liquidatore fallimentare dal Gruppo C&C, decide di stoppare le stampe per via del debito con la tipografia di De Rose. La redazione viene occupata dal direttore Regolo e dai giornalisti per tre mesi, facendo assumere al caso una dimensione nazionale. Dopo quattro anni arriva il fallimento.
Ma «il vero scandalo – fa notare Luciano Regolo, all’epoca direttore de L’Ora della Calabria, oggi condirettore di Famiglia Cristiana, nonché consigliere nazionale della Fnsi – sta nei quattro anni di inattività che ci sono voluti per dichiarare un fallimento. Mi domando, inoltre, come si possa mandare in prescrizione un processo come questo, che ha per oggetto il blocco della rotativa per impedire l’uscita di un giornale “scomodo”. Blocco che arriva dopo ben 24 chiamate tra De Rose e Gentile. Perché nessuno ne parla?». (giornalistitalia.it)
I giornalisti, all’epoca, eravamo nella primavera del 2014, non solo si trovarono senza un lavoro all’improvviso ma anche senza le spettanze di fine rapporto e le ultime mensilità che, per legge, un’azienda è tenuta a pagare.
La liquidazione arrivò sull’onda dei sequestri dei beni alla famiglia Citrigno. La quantificazione del patrimonio lasciò sbigottiti gli stessi giornalisti a cui era stato chiesto, meno di un mese prima della chiusura, di “sacrificarsi” abbassando ulteriormente i propri stipendi.
«Purtroppo non ce la faccio a pagare, o vi sacrificate ancora oppure chiudo» furono le parole di Alfredino durante una drammatica riunione con i giornalisti che gli votarono contro. Poco tempo dopo le agenzie batterono la notizia del maxisequestro di 100 milioni di euro in beni alla famiglia Citrigno.
I giornalisti non videro un euro, negli ultimi tre mesi, neanche da parte dell’agenzia pubblicitaria PubbliOra di Ivan Greco (che deteneva il 20% delle quote della C&C) che si dileguò tomo tomo cacchio cacchio…
La C&C adesso è fallita. Nell’aprile 2015, nonostante il liquidatore continuasse a respingere le richieste economiche dei giornalisti, sottolineando la mancanza di denaro nelle casse, avanzò una proposta economica, non negoziabile, ai giornalisti per chiudere la faccenda: sulla carta sembrava un discreto 40% ma in realtà i conteggi effettuati risultavano decisamente inferiori a quelli risultati da un ricalcolo effettuato successivamente. Risultato? I giornalisti avrebbero chiuso con appena il 20% delle spettanze.
La proposta venne naturalmente respinta in blocco e fu inoltrata istanza di fallimento nei confronti della società intestata ad Alfredo Citrigno che è passato tranquillamente dall’essere “Umano” all’essere fallito. Tanto in Calabria chi se ne accorge? Anzi, fa pure curriculum…. Ed è di queste ore la fantasmagorica “notizia” che don Pierino lo strozzino (il papino di Alfredino…) adesso gli compra pure il Cosenza Calcio! E che molti di quegli stessi giornalisti che rimasero “vrusciati” gli tirano addirittura la volata. Povera Cusenza nostra!!!