“24 aprile 2013, Savar, sub-distretto della Grande Area di Dacca, Bangladesh. Ore 8:45 circa. All’improvviso, nel grande tumulto della città caotica e frettolosa, si sente un suono strano. Poi un boato inaudito, come fosse scoppiata una bomba. Il Rana Plaza – un edificio commerciale di otto piani che fornisce lavoro a migliaia di persone – crolla rovinosamente su se stesso a giornata lavorativa già avviata. Per ultimare i soccorsi bisognerà aspettare quasi un mese: sotto le macerie rimarranno schiacciate 1.129 persone, e altre 2.500 circa resteranno ferite a vario grado. L’episodio attira immediatamente i media di tutto il mondo. Moltissime testate italiane e straniere descrivono quel tragico evento con documentari e reportage.
Le fabbriche presenti all’interno del Rana Plaza lavoravano come fornitori per alcuni dei più importanti marchi occidentali del vestiario, tra i quali Primark, Walmart, Auchan e Benetton.
Sohel Rana venne arrestato insieme ai proprietari delle fabbriche crollate, e alcuni ispettori furono sospesi per negligenza. Ma a fronte di tutto il disordine e lo sdegno generatosi a livello globale, i grandi marchi e la Benetton, non sono mai andati incontro a nessuna responsabilità giuridica. Perché? L’edificio prendeva il nome dal proprietario, il signor Sohel Rana, membro di spicco dell’ala giovanile della Lega Popolare Bengalese, un partito nazionalista locale. Secondo Ali Ahmed Khan, capo del servizio della Protezione Civile locale, gli ultimi quattro piani dell’edificio erano stati realizzati abusivamente: il Rana Plaza era stato progettato per ospitare uffici e negozi, non industrie. Le vibrazioni provocate dai macchinari avrebbero dunque eccessivamente sollecitato una struttura pensata per altri utilizzi, determinando così la catastrofe.
Le responsabilità dei Benetton, oltre a quelle di natura giuridica che sono riusciti ad evitare grazie alla loro grande capacità di corrompere giudici e istituzioni, sono soprattutto di natura morale ed etica. La famiglia Benetton non si è mai fatta scrupolo di sfruttare gli operai e il lavoro minorile, e non si è mai curata di discutere con il proprietario del palazzo delle precarie condizioni in cui lavoravano i suoi operai. Quello che importa ai Benetton sono solo i ricavi e gli utili, e poco importa se a morire, ogni volta, per la loro avidità, sono poveri e semplici operai. La loro vita, di fronte alla grandezza del marchio Benetton, non è niente. Un sacrificio dovuto.
La famiglia Benetton, nonostante la gravita dei fatti, oltre mille persone morte, tra cui tantissimi bambini che lavorano ai loro telai, e 2500 feriti, dopo una serie di forti pressioni esercitata dall’organizzazione “Campagna Abiti Puliti”, si è “offerta” di partecipare al fondo di risarcimento per le vittime con la cifra di un milione di dollari. Ovvero, nulla. Per i Benetton la vita degli operai, e dei cittadini che percorrono le strade che loro dovrebbero garantire sicure, vale poco più di qualche centinaio di dollari.
Ecco perché diventa politicamente importante, oggi, mandare via questi avvoltoi che si sono impossessati, grazie al Pd, a FI e alla Lega, della rete autostradale di proprietà dei cittadini e pretendono anche che per morire schiacciato sotto un pilastro di un ponte, uno sia costretto prima a pagare il pedaggio. Non si muore a gratis nelle proprietà dei Benetton. Cosa devono fare di più questi “mostri” per dimostrare la loro inumanità?
C’è da dire, a tal proposito, che proprio sulla revoca delle “convenzioni/contratti” stipulati con la famiglia Benetton, per la gestione della rete autostradale italiana, si sta consumando, in queste ore, una guerra sotterranea tra la Lega che è per la linea morbida – visto che fino a ieri ha intascato le generose “donazioni” per le campagna elettorale dei Benetton – e il M5S che è per la revoca punto e basta, a responsabilità accertata. Su questo, il Movimento 5 Stelle, si gioca tutto. Un solo passo indietro significherebbe, per la stragrande maggioranza del suo elettorato, un tradimento, una resa al nemico che ci affama: lobby 1 – popolo 0. Inaccettabile. Non bisogna arretrare di un millimetro. E poi, questa giusta battaglia, potrebbe essere anche l’occasione per ridimensionare la Lega che è in evidente imbarazzo. Metterla con le spalle al muro, e far capire alla gente chi sta veramente con il popolo e chi no. La Lega dovrà scegliere: o con il popolo, o con i potentati economici che ci hanno ridotto in mutande. Lasciare questi sciacalli a gestire il bene pubblico, lo scriviamo in cosentino: unnè chiù cosa.