A Catanzaro la mafia non spara: replica la storia. E Gratteri lo sa

«In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste» (Giovanni 1, 1-3). La Causa Prima la indica l’Apostolo Giovanni usando “la Parola” o “il Verbo” come la causa di ogni cosa, l’esistenza “in principio” prima che fosse qualsiasi inizio, prima di ogni cosa. Non è la spiegazione di chi ha creato il mondo, o di chi esisteva prima della creazione, ma molto più semplicemente spiega da quando è esistito il Verbo.

Partiamo da qui per cercare di spiegare il Verbo del sistema Catanzaro, camminando nelle vicende della città, che se lette fino in fondo sono emblematiche ed al tempo stesso restituiscono una ragione ed un quadro di chiarezza al presente.

A Catanzaro la mafia non spara. Questa è una regola ormai assodata e tacitamente accettata nell’ambiente del “sistema”, perché usare il vile piombo per risolvere i problemi crea ribaltamenti rumorosi e soprattutto accende i fari della magistratura ed in alcuni casi dell’antimafia. Non serve fare rumore perché bisogna preservare il valore del silenzio e della consacrazione, che certamente garantisce migliori esiti e soprattutto mantiene in equilibrio le diverse forze, criminali e non, che ormai da anni governano la città di Catanzaro in alleanza con le obbedienze, la chiesa tossica e la politica inquinata. Catanzaro è la città della massomafia.

Non siamo stati noi ad affibbiare alla città di Catanzaro le qualità che ormai la indicano e la distinguono. Noi abbiamo solo ripreso le parole e le scoperte fatte dalla Dda di Nicola Gratteri, che ha rappresentato con alcune sue inchieste, per alcuni spezzoni miseramente fallite, le qualità civiche ed il reticolo di tossicità della recente storia del capoluogo di regione. Quella narrazione che, nel sentire della gente normale, sembra essere rimasta a metà certamente per la messa in campo della difesa del “sistema”, per l’ostilità di un parte dell’apparato giudiziario abituato a traccheggiare, ma forse perché la spinta propulsiva di Nicola Gratteri sembra essersi spenta, o nella migliore ipotesi, procede con troppa lentezza rispetto al decorso degli eventi e alle aspettative dei cittadini.

Non parliamo in questa sede di giustizialismo o di garantismo a buon mercato, ci riferiamo semmai al possibile tradimento della domanda di libertà che i cittadini catanzaresi aspettano individuando nella persona del procuratore Nicola Gratteri lo strumento autentico per il raggiungimento. Cosa c’è ancora da capire, cosa resta da spiegare? E’ questa la domanda ricorrente in città per una risposta che non sembra arrivare dal palazzo di giustizia, lasciando in sospeso tante vicende di cronaca e tanti sussurri di eventi considerati prossimi, ma nei fatti rimandati a data da destinarsi, mentre le elezioni comunali sono andate in scena con lo scontato risultato della vittoria di Fiori…tallini come ormai li chiamano tutti a Catanzaro e con tutti gli impresentabili subito ai posti di comando pronti per dividersi il bottino. Nonostante Gratteri… Come del resto era già accaduto e per ben due volte alla Regione con le vittorie a mani basse di Forza Italia sia con la Santelli sia con il suo parassita successore. E sempre nonostante Gratteri… Al punto che la gente comincia a farsi due domande sull’efficienza del magistrato, che ormai – e anche questo lo sanno tutti – sta per andarsene. E mai come nel corso della sua gestione la massomafia ha fatto il bello e il cattivo tempo. E qualche motivo ci sarà. 

Lo spartiacque non può essere solo quello che ha una valenza di antimafia, quando la città di Catanzaro sembra galleggiare con impunita arroganza su un meccanismo di ordinaria delinquenza, dentro e fuori dai palazzi del governo. E’ questo il lungo inverno senza fine della storia cittadina che molti fingono di aver dimenticato, fra responsabilità e complicità, tentando di replicarlo usando un presunto nuovo pentagramma, mentre il “politically correct” che si impone per scelta Nicola Gratteri, viene percepito dai cittadini come la vera nota stonata, senza scomodare necessariamente la domanda, legittima, di giustizia.

Catanzaro è e resta la città della massomafia, dove la mafia non spara perché ha fermato le lancette del tempo.

Non è stata la mano di Dio a scrivere “il Verbo” a Catanzaro. Sono stati gli uomini, la politica e tutti gli elementi tossici proliferati fra le mura della città complici di quella alleanza fra grembiuli e paramenti sacri, su tutti per un decennio c’è stata la mano di Satana, il vescovo massomafioso Vincenzo Bertolone, sparito in fretta e furia con il suo bagaglio di segreti e ammanchi di cassa. Adorato ai limiti del paganesimo dalla politica cittadina – che oggi inventa distingui – è stato Vincenzo Bertolone, ascoltato dall’altra che si garantiva voti e segreterie all’interno della chiesa locale e fra le fila dei preti truffaldini. Tutti hanno dato sfogo alle capacità del vescovo massomafioso non come ministro della Fede, ma come alchimista della politica mettendo ai suoi piedi un intera città, i suoi bisogni e le provviste di denaro.

Filantropo o affarista? Di certo non è stato uomo di Dio, Vincenzo Bertolone, orientando per un decennio la storia di Catanzaro. Tante sono le zone d’ombra che ha lasciato come eredità e soprattutto le caratteristiche in negativo che ha allevato fra le mura della sua curia con la complicità della politica inquinata. Il sacro o cosiddetto tale rimane a Catanzaro con tutte le sue vergogne. Restano le tentate speculazioni edilizie della curia come la sede del TAR, i preti palazzinari che lucrano sul disagio e sui migranti, i segretari sensibili alle mazzette, un pezzo di “Basso Profilo”, la fossa comune delle morti silenziose fra malasanità e pietas di facciata, il furto dei soldi dai santuari e dalla Caritas diocesana, e la nomina di nuovi vescovi indagabili per merito e fedeltà criminale.

Tante sono le vittime che aspettano giustizia dalla procura cittadina, mentre a Catanzaro una certa politica resta orfana delle insegne del vescovo tossico, sono i figli prediletti che si sono fatti orientare ed hanno coperto le malefatte della curia catanzarese. Bertolone ha portato con se i suoi segreti nel convento di Grottaferrata rispondendo all’ordine dell’ex procuratore della Repubblica di Roma e attuale presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone, che gli notificava il “lasciapassare” diplomatico concessogli da Nicola Gratteri, forse a certi livelli la diplomazia supera il senso di giustizia ed i segreti restano tali seppelliti nei cassetti dei Palazzi Apostolici.

Ecco perché la vicenda del Movimento Apostolico, ascritta come la causa principe della fuga di Bertolone appare una coperta molto corta. “Vengo in mezzo a voi perché la vita si connoti sempre più di tutti i valori cristiani; perché il Cristo cresca nei nostri cuori e ci faccia comprendere che solo l’Amore di Dio è capace di muovere “il sole e le altre stelle”: queste erano le parole all’inizio dell’apostolato del vescovo massomafioso Vincenzo Bertolone, ma la storia ci dice e forse ci dirà qualcosa di diverso…

L’ombra del disastro aleggia da un po’ sulla città di Catanzaro. Ma non siamo ancora alla fine di un percorso che la politica ha costruito in decenni. Non siamo ancora alla fine di alleanze tossiche almeno nei contesti ritenuti classici. E neanche alla fine dei “padrini” della città che continuano a riciclarsi.

Fare emergere l’ipocrisia di fondo partendo dal fatto che l’effetto trascinamento può essere in riserva di carburante a Catanzaro, non ci ha mai indotto del resto a visioni semplicistiche, anche perché la città non è terra di nessuno, ma al contrario resta fermamente ancorata alla custodia della cassaforte, da sempre nascosta fra le mura di Palazzo de Nobili, dove muore e risorge, sempre, il valore della massomafia.

Leggere allora il quadro politico non è argomentazione da manuale, tutt’altro è una rappresentazione grezza e misera della storia della città di Catanzaro, dove alcune esperienze ritornano e dove certe alleanze si consumano, pronte a rinascere nel solco della commistione: il nuovo orizzonte senza colore e senza dignità alcuna. Si spiega così il “quiz” dei fagioli di Raffaella Carrà, che ha afflitto per settimane le notti di Nicola Fiorita, che di giorno coniugava slogan trancianti e la sera, fra una telefonata ed un riconteggio dei legumi, indagava convergenze utili da integrare in coalizione al foto-finish, perché la vittoria è un valore, mentre il colore può diventare un’illusione ottica. In una parola sola: Fiori…tallini!

Quelle forme di nonnismo politico che di giorno tutti osteggiano, la notte diventano patrimonio, così sono tornati in campo i diversi “Rebibbia boys” sullo scenario delle elezioni comunali con tutto il loro carico tossico e la storia si riscrive, anzi si è riscritta.

A Catanzaro la mafia non spara. Replica la storia. Questo non dovrebbe essere scandalo per nessuno, perché risponde alla caratteristica tutta autentica della città. Il tempo ci riporta al 2011, quando la coalizione del sindaco Michele Traversa, l’altra gioiosa macchina da guerra giallorossa, senza indagare le tessere e le appartenenze rispondeva ad un’esigenza politica, miseramente fallita non per implosione delle diverse anime, ma solo e soltanto per vigliaccheria economica individuale. La verità è che la città di Catanzaro è un grande baraccone circense, dove essere clown è forse la migliore caratteristica da ostentare e da esportare. E se proprio non vi piace la parola “clown” va bene anche giullare, che rende lo stesso l’idea. Questa è, da qualsiasi parte la si voglia girare e con buona pace di Gratteri, che continua a fare il pastore delle… pecore.