Addio Paolo, da Beirut ti giunga tutto il mio affetto (di Vincenzo Speziali)

Vincenzo Speziali e l'ex ministro Scajola

di Vincenzo Speziali 

Il sole e la canicola preannunciano, puntualmente, l’incombere dell’estate libanese, avvolgendo Beirut, nel caldo soffocante, che ho imparato a conoscere, anche perché i profumi invadono, piacevolmente, l’aria e portano gioia ed allegria.
Così, però, non è per me, avendo appreso la notizia della morte di Paolo Pollichieni, nell’atto quotidiano di leggere, per prima cosa (e prima di tutti gli altri), il giornale da lui diretto.
Non nascondo tristezza, neppure dolore, anche se talvolta, in questi ultimi anni, abbiamo polemizzato ferocemente -lui convinto che Lombardo fosse il bene e la verità, io, evidentemente (e a ben ragione), il contrario- eppure il nostro rapporto personale, non è mai mancato o venuto meno, anzi ci sentivamo e sempre e solo di questioni affettive o della sua salute, parlavamo.

Dicevo, quasi a mo’ di premessa, ad ogni attacco di telefonata: “Voglio, solo, sapere come stai, come sta Giovanna e sapere se riguardi e rispetti il tuo decorso”, e lui, correttamente, amabilmente e onestamente, apprezzava, rispondeva, rassicurava, poiché era conscio della mia sincerità, visto che ci conoscevamo bene ed entrambi accettavamo i rispettivi difetti (e le proprie posizioni), reciprocamente! Paolo era fatto così, amava il suo lavoro, lo portava avanti con lo stesso entusiasmo giovanile di quando lo aveva incominciato anni addietro, proprio nella sua (e mia) Locride, ed aveva il coraggio del graffio scritto e della denuncia sociale, tipica dei cronisti di razza.
Certamente, qualcuno, preferirà non credermi (fatti suoi), però oggi mi pento, di qualche polemica sterile o di quando gli dissi sei un Pecorelli di provincia: avevo dolore, non riuscivo a far sentire la mia voce, nessuno mi dava il giusto spazio, per la difesa legittima (la quale mi era negata, in primis, dagli inquirenti), ma oggi capisco che forse era giusto così…forse ma sì (come cantava Vasco Rossi in Sally, dato che a Paolo, piaceva citare le canzoni)!

Scrivo ciò, poiché le rimostranze alle investigazioni si compiono nelle sedi opportune, benché la platea non è mai degli indagati (spesso innocenti e calunniati), bensì degli accusatori (talvolta discutibili e persecutori), ma adesso, di tali aspetti, non desidero più parlare.

Preferisco i ricordi belli, quelli personali, riferiti a frammenti di una vita vissuta, come il giorno del mio matrimonio (quando Paolo, sempre sornione e con la trascinante simpatia, scrutava gli invitati libanesi e soprattutto le invitate), oppure le sere d’estate sidernesi (per me sempre blindate, in quanto era il periodo dei sequestri di persona), trascorse nel giardino di Carlo e Silvia Macrì e anche le simpaticissime battute (di cui era incontenibile foriero e brillante produttore), nei corridoi del Consiglio Regionale della Calabria, nell’epoca “regnante” il primo Centrodestra.

L’ultima volta, l’ho sentito telefonicamente, il 5 aprile scorso (giorno del mio onomastico) e confesso che la sua voce era stanca: non sapevo dove fosse, però desideravo sentirlo e con dignità e discrezione mi fece capire le sue pene, senza minimamente accennarmi qualcosa!
Gli dissi, chiaramente, di continuare a lottare -aggiungendo, ovviamente, per ridere, che se si fosse lasciato andare non avrei avuto nessuno con cui fare guerra- e che, comunque, lo sarei andato a trovare dopo Pasqua.
Ecco, anche qui sta la mia tristezza: non ci sono riuscito, non ho avuto tempo, modo e occasione.
Un abbraccio forte a Giovanna e ai figli.
Addio, Paole’