C’è stato un tempo in cui per testimoniare l’avvenuta villeggiatura si spediva una cartolina ad amici e familiari. E a settembre, come prova provata, si mostravano agli amici, in serate a tema, le tante foto scattate ad agosto durante le vacanze. Filmini compresi. Non c’era ostentazione in quelle immagini, non c’era spirito di competizione nel raccontare e mostrare le foto della propria villeggiatura ad amici e parenti, ma solo la voglia di restituire, sentimentalmente, le emozioni vissute in quei momenti di felicità ai loro affetti. Non c’era, a quei tempi, la necessità sociale di sfoggiare a tutti i costi. La villeggiatura era, ed è, il giusto e meritato riposo di chi aveva ed ha sgobbato tutto l’anno. E come tale veniva vissuta. Nessuno avvertiva l’impellente bisogno di documentare la propria villeggiatura minuto per minuto, così come succede oggi nell’era dei social. Le immagini si limitavano ai momenti salienti. E dopo aver testimoniato l’avvenuta villeggiatura, finivano nell’album dei ricordi.
Il ricordo del tempo che fu non vuole essere appello ad un ritorno al passato, tecnologicamente parlando, la modernità oggi permette a tutti di avere in mano uno strumento che può filmare ogni istante della nostra vita e metterci in comunicazione con tutto il mondo, e usarlo è normale, oltreché pratico e veloce. È il convulso bisogno sociale di rendere pubblico ogni istante della propria giornata, che non si spiega. Un conto è postare qualche immagine della vacanza, un altro e iniziare dal mattino con le immagini della colazione sul terrazzo vista mare, e poi la merenda sulla spiaggia, l’aperitivo a bordo piscina, il pranzo in giardino, la cena al ristorante, la discoteca, i drink, il cornetto all’alba, il tutto intervallato da selfie che mostrano il corpo (maschile e femminile) mentre si abbronza, quasi sempre mentre legge un libro, sotto i raggi del sole. Per poi ricominciare.
Il perché di questo estremo bisogno di esibire ogni istante della propria “vita in vacanza” – senza avvertire la necessità di destinare la “visione di certi momenti privati” all’intimità del proprio mondo -, si può spiegare solo con la necessità sociale di ostentare, apparire a tutti i costi. Dimostrare, con spirito di competizione, alla grande piazza dei social che la propria è la vacanza più figa, la più bella, la più intelligente e di tendenza: tutto sprido e relax. Quello che conta è mostrare, perché prima che nella vita reale, bisogna “sfondare” sui social. Il “Penso dunque sono” è stato definitivamente sostituito dal “Poso dunque sono”. E nel mondo dell’apparenza più elementi di valutazione dai al tuo pubblico, più possibilità hai di essere apprezzato/a. Non senza possibili controindicazioni.
A tutti piace essere apprezzati, e i social sono il miglior strumento per raggiungere questo obiettivo. Chi più chi meno in tanti ci provano a mostrarsi, e c’è chi pur di arrivare alla agognata popolarità è disposta/o a rinunciare alla propria vita privata. Ecco, forse bisognerebbe recuperare un po’ dello spirito dell’antichi villeggianti che, dopo aver scattato la foto ricordo, si godevano la villeggiatura con affetti e amici senza l’assillo di comunicare a tutti ogni momento della propria giornata. È vero che viviamo nell’era dei social, utili e sempre più indispensabili, ma è anche vero che di fronte all’uso convulso di selfie, che nuoce gravemente alla salute, bisognerebbe dare una mano a chi ne soffre, magari aggiungendo sui loro telefonini un’app che imponga in automatico all’utente convulso, quando esagera, un po’ più di “selfie-control”. Che non guasta mai, e poi lo diciamo per il loro bene.








