Alessandro Bozzo, la libertà e Pierino Citrigno

Alessandro Bozzo

Oggi è il 15 marzo. Esattamente dieci anni fa, nel 2013, lasciava questa terra a 40 anni Alessandro Bozzo, valente giornalista cosentino che ha avuto la sventura di lavorare dentro ai giornali dell’editore-boss della sanità privata e strozzino conclamato Pierino Citrigno. Per la sua morte ci sono stati anche due processi-barzelletta con alla sbarra l’usuraio prestato alla sanità privata.

Il Tribunale di Cosenza per il processo sulla morte di Alessandro Bozzo doveva togliersi la maschera e fare di tutto per accontentare chi voleva la condanna e chi voleva invece che lo strozzino rimanesse “immacolato” per la morte del giornalista. In pochi ce l’hanno fatta ad andare a vedere questa (ennesima) farsa che si è consumata nel nostro porto delle nebbie. Lo strozzino condannato a… 4 mesi mentre a distanza di qualche tempo abbiamo appreso che in Appello a Catanzaro, dove ormai la cricca “cosentina” di giudici chiacchieratissimi come Loredana De Franco, Bruno Antonio Tridico e Salvatore Di Maio, sta “allargando” sempre di più le sue grinfie, la condanna è stata aumentata di… 15 giorni!

Pierino Citrigno, come accennato, è l’editore-usuraio boss della sanità privata dall’alto delle sue maledette cliniche che ha reso la vita impossibile non solo a Bozzo ma ad altre decine e decine di giornalisti. Io personalmente non l’ho frequentato molto, per mia fortuna. La start up di Calabria Ora, come si dice in gergo, e “cinquemesicinque” di lavoro. Quanto bastava per capire che non era possibile stare in una redazione con quell’editore e quel direttore che ci eravamo sciaguratamente scelti: un uomo spietato che guardava solo ai suoi sporchi obiettivi e un burattino senza coglioni.

Per ricordare Alessandro Bozzo, ripubblichiamo l’articolo che ho dato a Tommaso Scicchitano e a Rosamaria Aquino per “Sacro fuoco”, il lavoro collettivo di un gruppo di giornalisti che, ognuno a modo suo, ha raccontato la sua visione delle cose rispetto alla tragedia di Alessandro e più in generale a un giornalismo senza schiena dritta che, purtroppo, ancora dilaga. Perché molti di noi – decisamente ancora troppi – vanno ancora appresso all’editore e al posto fisso.

“Libertà vo cercando ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”

Il tema della libertà attraversa tutta la storia del pensiero dell’uomo. La difficoltà del vivere liberamente dipende dalla capacità di decidere cosa è il bene e cosa è il male. La questione dunque è il discernimento.

La citazione è di Dante Alighieri. Divina Commedia. Siamo agli inizi del XIII secolo. Chi pronuncia quella frase è Catone l’Uticense, I secolo avanti Cristo. Si uccide. Dante lo mette nell’Inferno, ma a custodire le porte del Purgatorio. Si uccide per non perdere la sua libertà e perchè non cessasse la libertà del Senato romano. E’ quasi salvo. Catone è messo a guardia del Purgatorio nonostante si sia suicidato. Il motivo è comprensibile: si è suicidato non per motivi egoistici, ma per ribadire il valore della libertà.

Alessandro Bozzo non ce l’ha fatta a continuare a protestare contro un sistema marcio ed infame che permette ai Sansonetti e ai Regolo di sguazzare e fare soldi a palate e a quelli come noi di essere fatti a pezzettini.

Sono sempre i più sensibili che se ne vanno, spremuti come limoni, annullati nella loro dignità di uomini e donne e “derubati” della loro vita privata, schiacciati da un sistema spietato e schifoso nel quale o ti adegui alle voci dei padroni o ti fanno fuori.

Al nobile Antonino Catera del Quotidiano non ha retto il cuore. Bozzo, che era decisamente più prosaico, non gliel’ha data vinta e si è chiamato fuori in maniera eclatante: l’ha deciso lui!

Alessandro ha vissuto dieci anni nelle redazioni de La Provincia cosentina e di Calabria Ora. Con lui ho condiviso quasi un anno, tra start up e lavoro effettivo, della fondazione del secondo giornale di Pierino Citrigno.

Pierino Citrigno

Giornalisti trattati come pacchi postali, trasferiti, dimissionati, licenziati, usati solo e soltanto per diffondere le veline e le notizie funzionali a un editore condannato per usura e a caccia di convenzioni dalla politica, a un altro che predica legalità e fa nascere centri stampa taroccati grazie sempre ai finanziamenti della politica e a un altro ancora che, nel mentre sogna di realizzare un ponte, mangia miliardi allo stato…

Nella Casta dei giornalisti calabresi, solo una piccola parte detiene il potere all’interno dell’Ordine. Sarebbe interessante condurre un’inchiesta sui giornali fantasma calabresi che percepiscono centinaia di migliaia di euro attraverso il potere politico. E su tutti quegli incarichi e quelle consulenze, naturalmente sempre alimentate dai politici con le mani in pasta, distribuite sempre agli stessi amici degli amici. Organizzano convegni sul precariato e i loro figli hanno il sedere attaccato sulle poltrone della Rai o della Gazzetta del Sud. Che schifo.

Il trattamento riservato ad Alessandro Bozzo dal suo editore Pierino Citrigno ce lo ha descritto lui stesso attraverso le testimonianze dei suoi colleghi. E lo ha scritto persino il presidente della Casta dei giornalisti, quello nazionale, Enzo Iacopino. “… Resta, innegabile, il fatto che nel marzo 2012 (meno di un anno prima della morte, ndr) gli fu proposto un contratto a termine di 9 mesi, dopo quello ben più rassicurante che aveva. che accettò per amore della sua famiglia. Resta che gli venne chiesto di trasferirsi a Rossano lasciando a Cosenza moglie e figlia. Resta che questo proposito rientrò e che aveva un contratto a termine di due anni…”.

Ci sono mille storie di libertà di stampa negata che si potrebbero raccontare. Ma per rimanere a Citrigno, chi di noi potrà dimenticare la fatidica frase: “mu fa vida su testo…?”. Così, tanto per cominciare. Più che negare libertà (perchè tanto nessuno neanche osava), assegnava i pezzi e sceglieva i killer.

Oggi toccava a Roberto Occhiuto, domani a Ennio Morrone, dopodomani e gli altri giorni a tutti quelli che, con un giornale in rampa di lancio, si possono e si devono strapazzare per ottenere consensi e copie vendute. Tanto per far vedere che siamo un giornale “libero”!

Ma quando arrivavi ai Gentile, la ruota magicamente si fermava. Ci poteva essere la tentazione, finanche il rito della consegna dei documenti ma poi, quando vedeva la notizia sulla carta, si fermava. Non se la sentiva o magari aveva già deciso di stringere un patto. E quella notizia, quella che avrebbe dovuto trattare compa’ Pinuzzu o Tonino il cinghiale alla stregua degli altri, non sarà mai pubblicata. I tempi degli attacchi frontali erano ancora lontani. E i Gentile chiamavano direttamente Pierino per disporre censure oppure ordinare scoop contro qualcuno.

Quanto a Nicola Adamo e a sua moglie Enza, tutti sapevano che non si potevano toccare, neanche se ne poteva uscire fuori un titolo da farti vendere diecimila copie in una sola volta.

De Magistris ovviamente era il nemico numero uno. Ma per questi lavori c’era Pollichieni, il bomber, legato a doppio filo a Marco Minniti, il vero direttore del giornale già dalla sua fondazione. Quello che firmava ci stava solo per coprirlo, non contava nulla esattamente come tutti noi.

Imbarazzante quando usò il giornale per far sapere all’attuale sindaco di Napoli che la “finanza” aveva sequestrato una montagna di soldi a un imprenditore, un certo Mercuri. De Magistris aveva ordinato una serie di perquisizioni e non aveva trovato nulla. La “finanza” invece aveva beccato alla frontiera del Lussemburgo Mercuri e aveva tirato fuori tre milioni e mezzo in contanti dai bagagli in una perquisizione definita casuale.

“De Magistris, in effetti, di quel fortunatissimo controllo alla frontiera non sa nulla – scrive Gianni Barbacetto nel suo “Il superclan dei calabresi” -. Lo verrà a sapere solo qualche settimana dopo, quando un quotidiano, Calabria Ora, pubblica un informatissimo articolo firmato da Paolo Pollichieni, che non solo racconta dei soldi trovati nel borsone a Mercuri, ma li mette anche in connessione con l’indagine di Catanzaro. Eppure non c’era, fino a quel momento, alcuna connessione…”.

Della serie: facciamo i controlli a nome tuo ma tu non lo sai!

Sono andato via dopo tre mesi esatti da quella vergogna professionale: non concepivo che un “direttore” (senza palle) potesse tollerare quello che accadeva in quella redazione e abbassasse continuamente la testa. Era inevitabile che Pollichieni prendesse in mano ufficialmente il timone del giornale (accadde otto mesi dopo la mia fuoriuscita) per lasciarlo quando Pierino si era seccato della sua linea aggressiva nei confronti del “fascio” Scopelliti…

Alessandro ha vissuto queste cose insieme a noi ma aveva resistito, come tanti altri. Io non ce l’avevo fatta. Iniziava proprio da lì il mio percorso di “liberazione”. Mi sarebbe piaciuto averlo al mio fianco.

Gabriele Carchidi