Alto Tirreno Cosentino. Si fanno affari anche con i… cani: proteste e contestazioni

di Saverio Di Giorno

Che tutto quello che luccica non sia oro in Calabria è molto più che un detto. Ma è difficile immaginare da quante fessure riescano a scivolare via i soldi pubblici. E, appunto, in Calabria occorre stare attenti ad ogni buca. L’ultima segnalazione riguarda il randagismo. A quanto pare, ci sarebbe un modo per racimolare qualche soldo (pubblico, ovviamente) anche dall’attenzione ai cani. E la situazione riguarderebbe varie realtà in molte province della Calabria.

In soldoni la situazione è questa. Occuparsi dei cani richiede spese (legali e sanitarie) e chi se ne occupa fornisce un servizio alla comunità. Ecco, dunque, che le istituzioni regionali e locali possono decidere di dare un aiuto economico. Ma se queste spese non vengono sostenute? Allora questi aiuti vanno ai cani o a chi? Se ad esempio un canile non viene tenuto nelle condizioni idonee, se le spese mediche non ci sono perché i cani versano in brutte condizioni eccetera. Tale sarebbe la situazione nell’area crotonese, ad esempio. Ma partiamo dall’Alto Tirreno Cosentino.

Rimbalza ormai su molti canali una mail di un ex socio dell’associazione Salvami che opera sull’Alto Tirreno Cosentino e raccoglie anche qualche aiuto dai comuni. In tale mail si contestano alcune rendicontazioni dell’associazione. In particolare, si dice che Salvami chiede ai comuni con “richieste di convenzioni (…) un contributo di 500 euro a cane”, ma per quali spese? “Salvami non può operare come se fosse un canile rifugio, perché non lo è (così mi è stato spiegato all’ Asp)” dunque, “un cane che viene prelevato da un canile sanitario ha avuto il microchip, i vaccini e, se adulto, la sterilizzazione, per un totale di 250 euro di spese a carico dell’Asp, inoltre il costo del mantenimento in canile sanitario, ammontante a 100 euro al mese, per un massimo di due mesi, è stato già pagato dai Comuni. (…). Tali somme, fanno un totale di circa 400/450 euro di risparmio spese per Salvami. Se a questo si sommano altri 700/800 euro derivanti dalla vendita del cane, come si evince dall’autorizzazione cantonale che parla, appunto di commercio di animali da compagnia e non di adozioni” si arriva a oltre 1000 euro a cane.

Una volta contattato chi scrive appare molto documentato con tanto di allegati di spese, rendicontazioni e per di più anche racconta anche di vari procedimenti davanti alle autorità. Uno finito in archiviazione. In tale archiviazione l’autorità, pur archiviando, accerta alcune criticità nella gestione dei fondi e uscite non ben identificate ad alcuni soci. Comunque, scrivono le autorità, l’associazione si sta mettendo in ordine e in qualche modo raggiunge i suoi obiettivi. Insomma, bene ma non benissimo.

Non è comunque l’unica carta che balla. E come si diceva non è l’unico caso, per la zona dell’Alto Tirreno è anzi quella messa meglio per quanto riguarda cura dei cani. Diversa è la situazione altrove secondo gli animalisti del territorio. Ma questa è un’altra storia …