(DI ANDREA SCANZI – ilfattoquotidiano.it) – Col suo ritorno in tivù dopo quasi dieci anni, Beppe Grillo ha permesso a Fazio (che già in puntata aveva Guccini) un altro record di ascolti sul Nove. Nulla di stupefacente: ogni volta, Grillo crea l’evento. Se poi l’obiettivo è quello di valutare non solo il peso mediatico di Grillo, ma pure la sua resa artistica, la questione si fa molto più stimolante. Guardando le recensioni della destra, e peggio ancora di certi renziani decaduti “tipo quel tale che scrive sul giornale” (Aldo Grasso), Grillo può dirsi soddisfatto: se non è piaciuto a loro, vuol dire che ha colto nel segno.
La domanda giusta è però un’altra: ha fatto bene Beppe Grillo a barattare tutto il suo regno di comico venerato (e censurato) per infognarsi in quella cosa “schifosa” che “fa male alla pelle” (citando Gaber) chiamata politica politicante? Se lo è domandato anche lui, chiedendo che fosse il pubblico a rispondere quale debba essere il suo futuro: comico o politico? E subito qualcuno ha gridato: “Il comico!”. Naturale: se avesse continuato con gli spettacoli “e basta”, Grillo sarebbe ora molto più ricco e molto meno divisivo. Sono in pochi, sul palco, ad avere la sua capacità rabdomantica di saper improvvisare, ironizzare e travolgere tutto. Volendolo declinare unicamente come artista, che è poi la sua cifra primaria (e irrinunciabile), Grillo è talento puro e sublime animale da palcoscenico. Ha un carattere odioso, ha fatto più cazzate di Dertycia sotto porta e sabota di continuo se stesso, ma resta un fenomeno. Nessuno era bravo come lui a fare controinformazione tra Novanta e anni Zero. E nessuno avrebbe potuto mettere sotto scacco un Paese intero come ha fatto (pardon: provato a fare) lui col Movimento 5 Stelle.
E adesso? Cosa resta, oggi, di Beppe Grillo? Poco o nulla di politico, e non è detto che sia un male. Molto e forse moltissimo di artistico, ed è invece un bene, perché anche domenica – quando ha voluto accelerare – non ce n’è stato per nessuno. Riprendendo il suo ultimo spettacolo, Grillo ha detto: “Sono qui per capire se sono il peggiore, se ho peggiorato questo Paese… Dopo l’ultima intervista con Vespa abbiamo perso elezioni, tutti quelli che ho mandato a fanculo sono al governo, quindi sono il peggiore”. Ha ammesso di essere un disastro come organizzatore e di non poter quindi mai fare il leader politico, ma questa sua autocritica è divenuta vana quando Grillo – come lo scorpione con la rana – non è riuscito a non rimordere Conte: “Parlava e si capiva poco… perfetto per la politica… ma è migliorato”. Nella sua quasi ora di sostanziale monologo – lui non si fa mai intervistare: al massimo si intervista da solo – Grillo ha indovinato parecchie battute, ma è inciampato odiosamente quando è andato sul personale contro Giulia Bongiorno, ovvero l’avvocato della ragazza che sarebbe stata stuprata da suo figlio Ciro: l’autolesionismo di Grillo è davvero enorme e incurabile. L’artista genovese ha detto che il governo Meloni cadrà da solo (col cavolo: durerà 5 anni) ed è stato irresistibile nei passaggi su Donato Bilancia e Vespa. Poi, in un passaggio sottovalutato dai più, ha recensito splendidamente se stesso: “Ho una confusione totale, ecco perché mi sono ritirato a guardare cosa succede. La mia rabbia è una rabbia buona, ce l’ho ancora. Io sono buono dentro e la rabbia buona è necessaria per l’anima”. Un autoritratto perfetto. Il Grillo di domenica è parso un navigato rivoluzionario che si guarda indietro e, non senza giusto orgoglio frammisto a disillusione, scorge più vittorie che macerie. Come politico non ha più molto da dire, e lo sa benissimo. Come satirico, se solo volesse, metterebbe ancora in tasca tutti.