Andrea Scanzi non ha dubbi: “Ora Conte esca dal governo Draghi”

(di Andrea Scanzi – Il Fatto Quotidiano) – Giuseppe Conte ha cominciato ad alzare i toni, ed è una buona notizia per i 5 Stelle. Questione di sopravvivenza, ma anche di decenza e coerenza.

Qualche considerazione.

1. Conte è l’ultimo treno per il Movimento 5 Stelle. Il suo “bonus elettorale”, creatosi durante il governo Conte-2 e i duri mesi del lockdown, è evaporato solo in parte. Il leader del M5S resta l’unica – e ultima – speranza di una forza politica che non ha altre strade se non quella di affidarsi alla sua guida.

2. Di Maio è diventato a tutti gli effetti un politico di professione. È più draghiano di Draghi, ha talento e futuro. Godrà di una lunga carriera in Parlamento e potrà scegliere qualsiasi forza politica: a destra, al centro, a sinistra. Dove gli pare. Tra gli under 40 è uno dei migliori. C’è solo un piccolo particolare: a oggi incarna tutto quello che il M5S non deve essere. Gode di larghi favori tra la stampa (che lo usa in ottica anti-grillina), ma ha molti meno seguaci di quel che si creda dentro il M5S. Ecco: tutti i dimaiani, al prossimo giro, non andranno candidati da Conte alle elezioni.

3. I 5 Stelle, dall’avvento del governo Draghi in poi, sono stati noiosi nel migliore dei casi e inutili nel peggiore. Hanno perso ogni attrattiva. L’acuirsi della guerra in Ucraina e l’insopportabile nonché stolto iper-atlantismo di Draghi ha costretto Conte ad alzare i toni e ipotizzare la rottura. Era l’ora.

4. Conte si è chiesto giorni fa se dentro al governo ci sia gente che voglia i 5 Stelle fuori dall’esecutivo. Domanda retorica: tutti, tranne Bersani e quelli più a sinistra nel Pd, vogliono i 5 Stelle fuori dal governo. Ma il punto è un altro: cosa ci sta a fare il M5S dentro al governo?

5. Si dirà a questo punto che, senza i 5 Stelle, oggi la riforma Cartabia sarebbe ancora più orrenda e l’Italia avrebbe già optato per un aumento delle spese militari in nome del 2 per cento del Pil promesso alla Nato. Vero, ma una forza politica non può dissanguarsi in nome di un continuo meno peggio e di sbiadite bandierine da piantare stancamente qua e là, in mezzo a continue sconfitte.

6. Con Conte al governo, i 5 Stelle erano attorno al 20 per cento. Oggi – al massimo – sono al 10 per cento. Ed è passato poco più di un anno. Un’ecatombe inesorabile. Di cosa stiamo parlando?

7. Senz’altro Conte ha alzato i toni anche per motivi politici ed elettorali, ma i punti di rottura (riarmo, superbonus, inceneritori, salario minimo) sono temi dirimenti e fondativi per i 5 Stelle. Non ci si può annacquare in eterno.

8. L’alleanza con il Pd ha senso se (appunto) è un’alleanza, non se è una resa incondizionata. Oltretutto il Pd di Letta è oggi pressoché irricevibile, col suo dissennato americanismo bellico. Se questo è il “centrosinistra” meglio correre da soli.

9. Conte e Salvini hanno ora la stessa idea sul non dare più armi a Zelensky. Se qualcuno vuole usare questo occasionale riavvicinamento come scusa per una rilettura della sciagurata alleanza gialloverde che diede vita al Conte-1, quel qualcuno è scemo o pericoloso. Conte deve continuare a trattare Salvini come fece in Senato nell’estate del 2019.

Concludendo: se i 5 Stelle avevano pochissimi motivi per entrare nel governo Draghi, oggi non hanno neanche mezzo motivo per continuare a star dentro al governo Draghi. E il primo a saperlo è Conte.