Una recensione per essere definita tale, da che mondo è mondo, deve contenere nella “cronaca” un bel po’ di paroloni, che più che esprimere una valutazione sull’evento preso in esame, servono a decantare le lodi e ad evidenziare la preparazione, in materia, del critico. Infatti quasi tutti i critici pensano di essere i soli a comprendere il significato profondo dell’opera, addirittura meglio dello stesso drammaturgo titolare dell’opera. La velleità che spesso accompagna la critica, altro non è che la misura della boria di chi pensa di essere l’unico in grado di indirizzare il pubblico verso un giudizio che deve partire, necessariamente, dalle sue considerazioni, le uniche capaci di svelare, nel profondo, le intenzioni dell’artista. Finendo con l’ingabbiare il senso stesso l’opera dentro 4 mura, senza possibilità d’uscita. Ed io che non sono un critico, non voglio correre questo rischio.
Dico questo perchè lo spettacolo di Sergio Crocco “Andura tra l’aorta e l’intenzione”, per me, non merita questo. Non merita paroloni, concetti altisonanti, similitudini letterarie, paragoni teatrali e metafore sentimentali per essere descritto. E non è neanche uno spettacolo serio così come lo stesso autore lo definisce. La commedia, per me, è semplicemente istruttiva: la comprensione e i messaggi arrivano da soli, non serve nessuna mediazione, tanto sono chiari. Uno spettacolo libero che di per se rigetta ogni tipo di livellamento culturale e conformismo. Recintarlo, perciò, significa, per me, non averne colto il senso.
Senza spoilerare, per non togliere il gusto della “scoperta” a chi ancora lo deve vedere, lo spettacolo racconta la storia di un uomo che non si arrende al concetto di normalità. Quella normalità che nel senso comune vuol dire omologazione: fisica, intellettuale, sociale. La cultura comune corrompe, e se non ti adegui, anche tuoi malgrado, sei fuori. Sei diverso. E devi lottare, faticare, con te stesso e gli altri, per convincerti e convincerli che non è così. Sergio, con una prosa a lui congeniale, anche se per falsa modestia sostiene il contrario, ci invita a demolire il concetto di diversità nella sua accezione negativa, rivelandoci, o meglio suggerendoci un “nuovo” approccio per meglio comprendere mondi che non conosciamo e che meritano di essere esplorati. Liberarsi dal pregiudizio è l’unico mezzo per percorrere strade mai praticate prima, e chi decide di farlo scoprirà che oltre al proprio, esistono altri mondi pieni di meraviglie e tanta, tanta bellezza. Ciò che credevamo distante da noi, Sergio prova, riuscendoci, a farlo diventare parte di noi, tirando fuori, in un moto di comprensione, la diversità che ognuno si porta dentro. Comprensione che di colpo, almeno a me così è successo, ci libera da un “visione” del mondo limitata al proprio io. E la diversità, nella narrazione, più che repulsione, infonde curiosità fino a diventare ricchezza e confronto tra gli uomini. Lo so, detta così, senza paroloni, può sembrare banale, ma è questa la verità che si svela allo spettatore: tutti gli uomini sognano di essere felici. Anche quelli a cui la vita pare aver negato questa “opportunità”. Nessuno è diverso in questo.
Lo spettacolo messo in scena da una bravissima Francesca, rivela allo spettatore – attraverso una serie di monologhi, magistralmente interpretati da Roberto, Francesca, Antonio, MariaNoemi, Sara, Gianmarco, Enzo Mario, Ida, Michela, Luigi che rendono evidente lo spessore culturale di Sergio – quello che non si aspetta, o meglio quello che crede di sapere ma che non ha mai visto: la quotidianità degli altri, dei diversi. Diversi per una società malata che si nutre di convenzioni e ignoranza e non tiene conto che i sentimenti “sono uguali per tutti”. Che la sofferenza come l’amore non hanno barriere sociali, fisiche, mentali. Quello che pensavamo essere “una esclusiva solo per noi normali” in realtà, ci dicono gli attori dal palco, sono “cose” che appartengono a tutti. È questo il mondo che Canaletta, tenendoci per mano, ci porta ad esplorare. E lo fa raccontando un privato che solo chi ha veramente coraggio riesce a tirare fuori.
Una commedia che nasce Andura e che mette insieme, fino a fondersi, l’aorta e l’intenzione. Come dire: il cuore con l’immaginazione. Un modo per ribadire, in maniera teatrale, che in fondo ognuno di noi è unico e irripetibile. Ed è per questo che siamo tutti diversi.
P.S. la bravura degli attori mi ha commosso.
GdD