Antonio Padellaro: “Il “Fight club” di Trump fa spettacolo”

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – “Penso che abbiamo visto abbastanza. Un bel momento di televisione”. Donald Trump chiude il colloquio con Volodymyr Zelensky e lo congeda… 

Grande rispetto, naturalmente, per il disgusto di Ernesto Galli della Loggia sul “Corriere della Sera (“Una scena orribile”) e per lo sconforto di Massimo Giannini su “Repubblica” (“L’America non c’è più”), ma nessuno potrà negare, tantomeno acuti osservatori dello Stato-spettacolo quali essi sono, quanto di assolutamente strepitoso la diretta planetaria del Fight club alla Casa Bianca ci abbia offerto. È in situazioni del genere che il rimpianto di Umberto Eco si fa pungente poiché dalla sua visione della ribalderia canagliesca offerta da The Donald & J.D. Vance nel bullizzare il povero Zelensky (uno lo teneva e l’altro gli menava) avremmo potuto avere, chissà, una rilettura del celebre “Elogio di Franti” applicato al nuovo brutalismo americano. “E quell’infame sorrise”: la lettera scarlatta cucita per sempre addosso al troppo cattivo deamicisiano non si attaglia forse al ghigno del presidente Usa nel perculare l’ospite? Dal prologo (“oggi si è vestito bene”) alla cacciata con mobbing in stile “Apprentice”: “Basta, sei fuori”? Diversa dalla malvagità puramente estetica dell’eroe negativo di “Cuore” (quello che “fece una risata in faccia a un soldato che zoppicava”), nei modi scellerati di Trump c’è del metodo collaudato, un torvo e soddisfatto esercizio del potere contro il quale l’altrui indignazione e scandalo sortiscono l’effetto di un viagra.

Serve a qualcosa opporre il piagnisteo al bullo che avanza? Temiamo fortemente di no. Prendiamo il video dell’Intelligenza artificiale sulla Riviera di Gaza. L’evidente voluta oscenità dei grattacieli arroganti, delle danzatrici discinte e della statua del Vitello d’oro americano (ma senza pancia) conferiva al successivo dibattito un che di straniante, come si trattasse di sviscerare reconditi significati da un film porno in un cinema d’essai. In genere (sempre) lo scandalo è propedeutico alla vera ciccia della discussione. Domina infatti lo straziante interrogativo sui reiterati silenzi di Giorgia Meloni, sul perché la premier non abbia nulla da dire in merito alle mascalzonate del sodale della Casa Bianca. Con il che si ribadirà la linea doppia, ambigua, equivoca, obliqua, biforcuta della signora delle destre. Così che (quasi) tutti si sentiranno meglio con la propria coscienza e l’audience. Senza tener conto che il silenzio potrebbe essere un’efficace arma politica se nel frattempo la bistrattata Europa si fornisse, per esempio, di missili antimissile per ritorcere su Washington la follia dei dazi. Già si piagnucola sulla fine della diplomazia come se un bello scazzo in cui si tira fuori il peggio degli umani appetiti non fosse mille volte preferibile ai conciliaboli nelle segrete stanze.