Autobomba a Limbadi, le motivazioni della sentenza: “Le parti civili mentirono”

Il fermo immagine tratto dal Tg1 mostra vigili del fuoco e inquirenti sul luogo dove un uomo di 42 anni, Matteo Vinci, è morto a Limbadi, nel Vibonese, nello scoppio dell'auto che stava guidando, 09 aprile 2018. Ferito gravemente il padre di Vinci, Francesco, di 70 anni. L'ipotesi che viene fatta dai carabinieri è che a provocare lo scoppio sia stata una bomba collocata nel vano portabagagli della vettura. ANSA/FERMO IMMAGINE TG1

Vibo Valentia  – La Corte d’Assise di Catanzaro ha depositato le motivazioni della sentenza per l’autobomba di Limbadi (Vibo Valentia) costata la vita il 9 aprile 2018 al biologo Matteo Vinci. In 143 pagine, i giudici togati e popolari spiegano il percorso logico-giuridico per arrivare alle condanne all’ergastolo nei confronti di Rosaria Mancuso (sorella dei più noti boss della ‘ndrangheta Giuseppe, Diego e Francesco) e il genero Vito Barbara, ritenuti i mandanti dell’attentato. Ad incastrarli sono state le intercettazioni. Dieci anni la pena per Domenico Di Grillo, accusato di aver provocato delle lesioni gravi a Francesco Vinci (padre di Matteo Vinci e miracolosamente sopravvissuto all’autobomba) nel corso di una lite. I giudici hanno tuttavia trasmesso gli atti alla Procura di Catanzaro per procedere per falsa testimonianza nei confronti dei coniugi Francesco Vinci e Sara Scarpulla (parti civili e genitori di Matteo Vinci). “Il narrato dei coniugi Vinci-Scarpulla risulta ampiamente ed oggettivamente smentito”, scrivono i giudici in sentenza in ordine alla proprietà del terreno conteso con i Di Grillo-Mancuso, alla presenza di una pistola nella lite fra Vinci e Di Grillo, alla consapevolezza da parte della Scarpulla che era stata sua cognata a lasciarle un bastone dinanzi alla sua abitazione e non si trattava quindi di una minaccia dei Mancuso-Di Grillo. Atti in Procura pure per il consulente della difesa Mariano Pizianti.