di Saverio Di Giorno
Si torna a parlare di autonomia differenziata e di storia ce n’è tanta: un dibattito lunghissimo a cui hanno contribuito tutti senza nessuna esclusione. Proprio gran parte di quegli “intellettuali” che poi hanno firmato il manifesto sulla “secessione dei ricchi” anni fa, quando ricoprivano ruoli dirigenziali avevano parlato di federalismo. Ecco ad esempio a cosa serve la storia: a ricordare i nomi.
Da quello che è possibile capire, si tenta per l’ennesima volta di ribaltare l’attribuzione di competenze tra Stato e regioni (stabilita dall’articolo 117 della Costituzione). Dal 2009 ad oggi in particolare si è tentato di utilizzare l’articolo 116 della Costituzione per aumentare l’autonomia di alcune regioni: si sono tenuti diversi tavoli e riunioni tra cui una bicamerale e una paritetica e in questi casi solo 4 rappresentanti su 30 erano meridionali. Dov’era prima chi ora si indigna? Ecco un altro esempio dell’utilità della Storia: ricordare le responsabilità.
Ad ogni modo facciamo chiarezza: l’articolo 116 al terzo comma prevede che si possano concedere particolari forme di autonomia in materia di giustizia, istruzione, ambiente nel rispetto del vincolo di bilancio (art.119). Lombardia, Veneto ed Emilia chiedono libertà di manovra per quanto riguarda lavoro, istruzione, salute, ambiente e rapporti con l’UE. Tolta l’ultima, il resto per la maggior parte riguarda i diritti sociali per i quali bisogna tener conto del principio di uguaglianza (art.3). Le regioni in particolare chiedono che una parte del residuo fiscale resti nelle regioni: così che ad esempio le regioni possano alzare lo stipendio agli insegnanti (come avviene a Trento) oppure gestire ticket e spese di farmaci o percorsi di selezione per i medici. Come si è detto, era già stato tentato, e la Corte Costituzionale aveva bocciato tale proposta proprio perché contro il principio di uguaglianza e di solidarietà (art.2)
Fatte le dovute precisazioni giuridiche bisogna vedere come la questione non regge nemmeno sul piano economico. Il residuo fiscale è la differenza tra le tasse pagate e i servizi avuti in cambio, quindi ogni cittadino del nord dà circa 2500 euro al sud. Un principio di solidarietà presente ovunque che sta alla base di una nazione. Su questo dato si basa l’idea che il sud ha rubato al nord 50 miliardi. In realtà a voler ragionare in questo senso bisogna considerare che il sud attiva la domanda del nord comprando da aziende del nord (il 14% del Pil del nord); il sud praticamente non ha banche quindi tutti i risparmi e i fondi sono sul circuito settentrionale e poi c’è l’impressionante apporto in risorse umane.
Altra cosa che viene detta è che la riforma sarà a saldi invariati (cioè le regioni del sud non avranno di meno) e questo è vero, ma questo significa che resterà invariata la penalizzazione delle regioni del sud. Al sud arrivano già meno risorse e questo perché prima del 2009 venivano erogati sulla base delle spese delle regioni; dopo quella data invece si decise di farlo sui costi standard dei servizi (il famoso costo di una siringa a Palermo o Bolzano) che però al sud non è mai stato calcolato. Per demerito nostro ovviamente, ma di fatto il conto si basa sui dati del nord. A tutto questo si aggiungono i tagli del 50% al fondo di perequazione a cui si dovrebbe attingere.
In realtà sia l’idea che il sud dreni il nord sia che il sud sia penalizzato dall’autonomia peccano e per spiegarlo bastano due considerazioni diverse. La prima è che la differenza di Pil non c’era da subito e poco c’entrano le regioni: è andata aumentando fino al 1951, il divario si è poi ridotto nel trentennio successivo (anni di forte intervento statale) per poi tornare ad aumentare fino al 2008. La seconda è la situazione della sanità, materia quasi completamente regionale: in Calabria (ma anche in Campania e altrove) è disastrosa al punto di essere state commissariate, ma anche nei 10 anni di commissariamento statale la situazione non è migliorata. Il federalismo non è né la causa, né la soluzione unica ai problemi con buona pace di Oliverio che critica la gestione statale, ma anche l’autonomia differenziata. Ora, ma non era in quei tavoli. Il problema infatti sono le persone assenti in alcuni posti e troppo presenti in altri.
L’autonomia è un passo verso il federalismo, tanto agognato dalla Lega. Un concetto che non è giuridico, ma storico: uno stato federale proviene da altri stati che decidono di cedere la loro sovranità (come gli USA), gli stati “italiani” nel 1861 sono stati conquistati quindi non è più uno stato federale da 150 anni. Ma questo la Lega non lo sa, perché per loro la storia non è importante. Probabilmente non sa nemmeno che i padri costituenti, intimoriti dal ventennio precedente e dall’accentramento di funzioni, hanno optato già per il più ampio decentramento possibile che si è realizzato solo negli anni ’70, paradossalmente proprio da quel momento si inizia a parlare di federalismo.
Il titolo V della Costituzione, in realtà, è un cruccio di chiunque vada al governo dalla bicamerale di D’Alema fino al progetto di Renzi, passando per Berlusconi. Però si può sentir parlare di “macroregioni” e federalismi vari anche prima, all’inizio degli anni ’90. Se ne parlava in Sicilia, a Corleone, almeno secondo le testimonianze raccolte dal pm Nino Di Matteo. Tra il ’92 e il ’93 nascevano movimenti separatisti in tutto il paese dove i corleonesi collaborarono anche con alcune famiglie ‘ndranghetiste. Licio Gelli, il gran maestro della P2, era in costante contatto “con elementi di raccordo tra imprenditoria commerciale e cosche mafiose riconducibili a Cosa Nostra, unitamente ad esponenti della destra eversiva (Stefano Delle Chiaie)”. Bisognava azzerare le reti politiche inaffidabili e cambiare l’assetto del paese trasformandolo in macro regioni. Proprio così. La Sicilia e il sud sarebbero così rimaste nelle mani della piena gestione mafiosa. Tale progetto è stato messo da parte poi nel ’94, quando il piduista Berlusconi si presentò con tutte le garanzie chieste da Riina.
Le leghe meridionali erano in contatto con la neonata Lega nord. Ora che questa è al governo forse ci sono possibilità più concrete di finire quel progetto vedendo come nelle fila della lega al sud si spostino persone della destra più nera e dell’interesse mostrato dalla ‘ndrangheta verso questo partito.
A tutto questo il Pd si prepara a fare opposizione con candidati che “conquistano” separazioni delle carriere di magistrati e parlano di strapotere dei pm. Due punti copiati dal “progetto di rinascita democratica” di Gelli…