La Corte costituzionale “ha ravvisato l’incostituzionalità” di alcune previsioni contenute nella riforma sull’autonomia differenziata, la legge firmata dal ministro degli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli, approvata in via definitiva dal Parlamento lo scorso giugno. Decidendo sui ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, la Consulta ha giudicato illegittimi numerosi aspetti centrali del provvedimento, che detta il quadro normativo degli accordi tra Stato e Regioni a statuto ordinario per la devolution di competenze su 23 materie, tra cui la tutela della salute. Nello specifico, spiega un comunicato, la censura riguarda innanzitutto “la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del principio di sussidiarietà“.
Ma a essere ritenuta incostituzionale è anche la procedura per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, una sorta di “minimo sindacale” di servizi da garantire su tutto il territorio nazionale nelle materie più delicate (come istruzione e sanità). Secondo la Consulta, la delega assegnata all’esecutivo per definire questi livelli essenziali è troppo generica, cioè “priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”. Contraria alla Carta, in questo senso, è pure “la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm)”, cioè una norma secondaria non avente forza di legge, “a determinare l’aggiornamento dei Lep”.
Altre bocciature riguardano gli aspetti fiscali della legge: la Corte ha infatti giudicato contraria alla Costituzione “la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito”. In base a tale previsione, sostengono infatti i giudici, “potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. Ancora, è stata ritenuta illegittima “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”. Il comunicato della Consulta conclude sottolineando che “spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti” derivanti dalla bocciatura delle norme, “nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”.