Bergamini, 20 anni di omertà: la carriera di Denis. La leva calcistica della classe ’62

Simoni, Marino, Lombardo, Castagnini, Schio, Giovanelli, Galeazzi, Bergamini, Lucchetti, Urban, Padovano.

Non c’è dubbio che sia questa la squadra del Cosenza alla quale i suoi tifosi sono più legati. Non solo perché ha conquistato la Serie B dopo tanta attesa ma anche perché questi stessi uomini, con pochissime variazioni, soltanto un anno dopo, hanno sfiorato una clamorosa promozione in Serie A. E’ questo il gruppo più forte che abbiamo mai visto, grazie anche a due grandi allenatori come Gianni Di Marzio e Bruno Giorgi. E a un direttore sportivo ferrarese, che risponde al nome di Roberto Ranzani, che ha modellato il nucleo storico di questa squadra negli anni precedenti.

Gigi Simoni, Claudio Lombardo, Sergio Galeazzi, Denis Bergamini e Michele Padovano sono cinque giovanotti di belle speranze che iniziano a muovere i loro primi passi calcistici nelle squadrette di periferia del Nord.

Gigi Simoni e Denis Bergamini abitano a un tiro di schioppo l’uno dall’altro. Gigi è di Comacchio, Denis di Argenta. Provincia di Ferrara. Claudio Lombardo è di Voghera, vicino Pavia.

Il loro talent scout è appunto Roberto Ranzani, direttore sportivo ferrarese del Cosenza, una società di un certo blasone che sta cercando di tornare in serie B. Ranzani li recluta tutti e tre tra il 1984 e il 1985. Denis ha 23 anni, Claudio 22 e Gigi 20.

Roberto Ranzani

Lombardo si prende subito la maglia numero 3 di terzino sinistro con licenza di fluidificare e non la molla più. Simoni, dopo un anno di panchina a Roberto Busi, si prende il posto di titolare alla fine del girone d’andata scalzando Delli Pizzi. Il mediano Bergamini gioca un buon numero di partite (24) ma esploderà l’anno successivo quando ai tre ragazzotti del Nord si aggiungeranno altri due talenti scoperti da Ranzani, Sergio Galeazzi e Michele Padovano, entrambi piemontesi. Sergio ha 21 anni, Michele 20 e sta svolgendo il servizio militare.

Si forma così l’ossatura del Cosenza dei miracoli. Uniti sia in campo che fuori, amicizie che lasciano il segno e che si estendono anche alle rispettive famiglie.

DENIS BERGAMINI: GLI INIZI

Denis Bergamini, all’anagrafe Donato (all’epoca i nomi stranieri non erano consentiti…), è nato il 18 settembre 1962 ed è arrivato a Cosenza quando non aveva ancora compiuto 23 anni, reduce da un buon campionato di Serie D a Russi, vicino Ravenna.

Viene dalla provincia di Ferrara, precisamente da una frazione di Argenta, Boccaleone. E’ figlio di Domizio, un contadino che ha sempre lavorato duro, anche dodici ore al giorno, e ha tirato su la sua famiglia con grandissima dignità insieme alla moglie Maria, lasciandogli coltivare il sogno di diventare un calciatore professionista. E Denis, già da quando era soltanto un bambino, aveva dimostrato a tutti di poter riuscire in quell’impresa. Spalleggiato e supportato dalla sorella maggiore, Donata, che ovviamente stravede per lui.

L’INTERVISTA AL GUERIN SPORTIVO

«Già, il pallone – sorride Donata -. Denis era fissato. Lo ricordo sempre con la palla tra i piedi e con la Juventus nel cuore. Tra noi c’era un anno di differenza. Si giocava spesso insieme, qui nel giardino di casa. Ovviamente a me toccava stare in porta, mentre lui tirava e correva senza soste».

La passione c’è, il talento pure. Il Boccaleone lo arruola presto nei Pulcini: «Era piccolino – rammenta Domizio – , un “cosmo” pelle e ossa. Non avrei mai creduto che con il calcio avrebbe sfondato. lo stavo in disparte, ma chi lo vedeva giocare diceva che era veramente bravo».

Proprio così, Denis, biondo e magrolino, in campo è un gigante e si fa notare. Passa poco tempo e un giorno a casa Bergamini si presenta Rino Mazzi, tecnico della vicina Argentana. Vuole parlare con Domizio: «Tuo figlio lo vuole il Bologna».

«Ricordo che traballai. Denis era poco più che un bambino. Non me la sono sentita. Gli dissi: “Papà non ha piacere che tu vada”. E lui fu contento. Era attaccato alla famiglia, alla sorella. Un distacco in quel momento sembrava prematuro».

Sfumato il grande salto, rimane l’abilità di Bergamini col pallone, tanto che si trova a giocare con i più grandi. Anche se non ha l’età: «Dal Boccaleone era passato all’Argentana e falsificarono il cartellino – ricorda ancora Domizio -: io non sapevo nulla, me lo hanno detto a cose fatte».

Denis calamita le attenzioni. E’ un mediano per vocazione: per quel modo di stare in campo, per la sua generosità, per il grande cuore. Presto gli mettono il nomignolo di Cavallino, qualcuno azzarda un paragone con Tardelli, che in quel periodo sta già spopolando con la sua Juventus.

Poi una volta succede che segna anche un gol, addirittura in Svizzera, con la maglia dell’Argentana.

«Questa è una storia da raccontare – sorride dolcemente la sorella – perché quel testone mica voleva andarci. Avrà avuto dodici o tredici anni. Finito il campionato, l’Argentana lo vuole per un torneo giovanile che si disputerà, per l’appunto, in Svizzera. Mi ci volle tutta la notte per convincerlo. Era attaccato alla casa».

«Credo che abbia inciso anche il mio lavoro – interviene Domizio -. Partivo alle quattro di mattina e tornavo alle undici di sera. Ai figli questo pesava. Denis voleva sempre il bacino prima che io partissi. Se non glielo davo, piangeva».

L’intervento notturno di Donata, la sorellona, si rivela però decisivo. Denis va e torna vincitore. «Riuscì a segnare anche un gol. Era gasatissimo, ma lo sarebbe stato ancora di più l’anno dopo, quando con la maglia della prima squadra dell’Argentana fece un altro gol, questa volta di testa: una cosa incredibile».

Il Bergamini giovanissimo è serio e responsabile ma è anche un ragazzino al quale piace divertirsi. Fa il “vu’ cumprà” in spiaggia per far divertire gli amici e si specializza nel lancio dei gavettoni, decisamente la sua specialità: diciamo che ha lo scherzo in canna. Una simpatica canaglia, ma pure il grimaldello per neutralizzare il catenaccio che papà Domizio ha cucito addosso alla bella Donata.

«Non avevo libertà – sorride Donata, mentre rivolge uno sguardo affettuoso al babbo -. Uscivo solo perché c’era mio fratello. Ed è stato grazie a Denis che ho conosciuto il mio futuro marito».

Domizio sorride ed annuisce. E ricorda il giorno in cui gli arrivò una notizia che sembrò, in quel momento, azzerare ogni speranza per la carriera di Denis: «Mi dissero che aveva problemi al cuore. Rimasi senza parole, non mi sembrava possibile».

Risolse tutto il professor Lincei di Imola, uno che curava i ciclisti. Gli disse: «Hai i battiti del cuore come Eddy Merckx». Voleva dire che i battiti non erano così frequenti come per noialtri comuni “mortali” e proprio per questo gli riusciva più facile resistere alla fatica e macinare chilometri. Proprio come i ciclisti, che di chilometri ne fanno migliaia e migliaia. Spesso i medici generici rimangono spaventati da soggetti come Denis ma per fortuna quelli sportivi ristabiliscono le cose.

Il vero problema di Bergamini agli inizi della carriera era la mancanza di ferro. Che si combatteva con fialette ricostituenti e bistecche. Denis così cresce, irrobustisce il fisico e arriva anche a “prenotare” un provino eccellente. Domizio lo ricorda così: «Niente, una volta Denis insieme ad altri ragazzini fece un provino per la Juve. Mai saputo nulla. Molti anni dopo, salta fuori che Denis avrebbe dovuto fare un altro test, ma che a quella seconda prova il dirigente incaricato portò suo figlio».

Nel 1982, finalmente, la ruota inizia a girare per il verso giusto e per Denis arriva prima l’Imolese, quindi il Russi, campionato Interregionale. Passano tre anni ed ecco la vera svolta: «Stava giocando contro il Lugo ed a vedere la partita c’era il direttore sportivo del Cosenza Roberto Ranzani, che è di queste parti. In verità, era lì per osservare un altro giocatore, ma rimase colpito da Denis. E lo prese. Da lì è partito tutto».

Domizio fa fatica a nascondere la sua avversione per quel trasferimento in una terra così lontana: «Non ero contento. Il Cosenza faceva la C1, c’era un nostro paesano che giocava là, un certo Simeoni. Io suggerii a Denis di prendere un procuratore, ma lui non volle. Allora mi rivolsi al suo vecchio maestro di scuola perché ci assistesse al momento del contratto. A Ranzani dissi: “Questo me lo tieni al massimo due anni”. Il contratto, poi, arrivò per posta. Era un biennale con l’opzione per il terzo anno».

Atmosfera particolare in casa Bergamini. Denis è contento, mentre Domizio è combattuto, ma per amore di padre non ostacola il percorso del figlio: «Vedevo Denis soddisfatto e per me andava bene così. Fu subito titolare, legò alla grande coi tifosi, gli allenatori gli volevano bene. Al terzo anno, poi, la Serie B. Di Marzio, il mister della promozione, recentemente lo ha paragonato a Nedved, per la dedizione alla squadra e lo spirito di sacrificio».

«Denis era così – aggiunge Donata -, uno generoso, umile ed attaccato alla terra. Quando tornava, si metteva sul trattore ed andava per campi ad arare. E quando si doveva muovere, prendeva la bicicletta e pedalava».