Bergamini, il saluto dei compagni di squadra. Padovano: “È come se quel Cosenza non avesse mai smesso di giocare”

di Davide Soattin

Fonte: Corriere di Bologna (Intervista Michele Padovano)

Seppur fuori dal campo, ieri (lunedì 13 gennaio) i giocatori del Cosenza di Gianni Di Marzio che, nel 1987-88, conquistarono la promozione in Serie B, sono tornati nuovamente a indossare la stessa maglia da gioco. Lo hanno fatto andando sulla tomba del loro ex compagno di squadra, Denis Bergamini, il centrocampista 27enne di Boccaleone di Argenta, in provincia di Ferrara, ucciso il 18 novembre 1989 lungo la SS106 Jonica a Roseto Capo Spulico. Tra loro anche Michele Padovano che, al Corriere di Bologna, a margine della «rimpatriata» dal sapore di altri tempi, oltre a ricordare quello che per tutti resterà «il nostro grande amico», ha ripercorso i diciassette anni di calvario giudiziario a cui è stato costretto da innocente, a seguito dell’iniziale pesante accusa di traffico internazionale di droga.

Padovano, di nuovo tutti insieme dopo trentacinque anni per Denis Bergamini. È come se quel Cosenza non avesse mai smesso di giocare e lui non se ne fosse mai andato.

«Sì, mi piace davvero molto come metafora. È proprio così. Come se quel Cosenza non avesse mai smesso di giocare. Dopo trentacinque anni mi è sembrato che il tempo si sia fermato e nulla sia cambiato. Ritrovarci nel segno del nostro grande amico è stato un gesto nobile. Un momento bello e piacevole, soprattutto ora che finalmente abbiamo iniziato a scoprire quella che è la verità. È stata una giornata bellissima per tutti».

Sin da quel maledetto 18 novembre 1989, nessuno di voi ha mai creduto che Bergamini si fosse suicidato, ma che ad ucciderlo fosse stato qualcuno, come deciso dal tribunale di Cosenza lo scorso ottobre, condannando a 16 anni l’ex fidanzata Isabella Internò.

«Mai. Neanche un secondo. Perché lo conoscevamo, sapevamo quanto amava la vita e quanto ne era legato. Abbiamo sempre saputo che quanto raccontato in tutti questi anni erano fandonie. Così come abbiamo sempre creduto nella giustizia e nella verità, anche se è arrivata in modo lento. Trentacinque anni sono interminabili, ma alla fine ne è valsa la pena. Quella sentenza ridà dignità a noi, che gli abbiamo tutti voluto bene, ma soprattutto alla sua famiglia, che per anni ha dovuto vivere con un ricordo di Denis ferito da chi diceva che si era ucciso. Oggi sappiamo che non è stato così».

Parliamo di Denis. Come lo descriverebbe oggi a chi non lo ha conosciuto?

«Quando qualcuno muore, si dice sempre che era il migliore. Spesso lo si fa per circostanza. Ecco, con Denis era vero. Era il migliore di tutti noi e lo abbiamo detto in tutte le salse. Un ragazzo meraviglioso, solare, con una parola buona per tutti i compagni. Simpatico e gioviale. Insomma, il mio fratellone maggiore perché era più vecchio di me. Per quattro mesi, fino al giorno della sua morte, ho avuto la fortuna di abitarci insieme e di conoscerlo meglio. Che bei ricordi che porto con me».

Un legame così forte che suo figlio ha deciso di chiamarlo Denis.
«Esatto. Ogni volta che lo chiamo o che lo vedo è come se, con lui, rivedessi anche Denis. Era il minimo che si potesse fare dopo quanto accaduto. Anzi, avevo il dovere di farlo. E oggi, conosciuta la storia di Denis, mio figlio va orgoglioso di portare il suo nome».

Un processo, quello per la morte di Bergamini, dove lei si è dovuto difendere da accuse pesanti da parte di chi insinuava che la sua fine fosse legata a fantomatiche frequentazioni poco raccomandabili che lei e altri giocatori del Cosenza avevate in quegli anni.


«Quelle insinuazioni le ho vissute molto molto male. C’è stato un tentativo di depistare quella che era la verità, infangando il nome di Denis e accostandolo al mio. Quello che poi ho vissuto in questi anni non ha aiutato e ha servito su un piatto di argento la possibilità di depistare la strada verso la verità a chi ne aveva interesse, riuscendoci. Perché se per arrivare a questa sentenza ci abbiamo messo trentacinque anni, vuol dire che ci sono riusciti».

Fabio Anselmo, legale della famiglia Bergamini, a tal proposito, ha voluto chiudere la propria arringa di parte civile con una frase su di lei: «Quando parlate di Padovano, sciacquatevi la bocca».
«Ero in aula, è stato bellissimo. Fabio Anselmo è entrato in sintonia con me sin dagli inizi, quando ha capito quanto ero legato a Denis. Lui, per ovvi motivi, non lo ha conosciuto, ma i miei racconti e quelli della famiglia, oltre che degli altri compagni di squadra glielo hanno fatto conoscere. Credo che sia emerso un primo pezzo di verità, che chiaramente non è completa. Ora aspettiamo con ansia che la vicenda arrivi a un finale».

Dalla vicenda giudiziaria di Bergamini alla sua. Diciassette anni di calvario giudiziario da innocente con la pesante accusa di traffico internazionale di droga. Come li ha vissuti?
«In pochi minuti, in poche parole, non è possibile trasferire quello che io e la mia famiglia abbiamo vissuto. È stato un periodo brutto, molto duro, ma allo stesso tempo sono orgoglioso di mia moglie e di mio figlio. Di chi mi è stato vicino. Mi ha fatto comprendere quali sono le reali necessità della vita. Mi ha fatto ancora di più avvicinare e affezionare alla mia famiglia».

A gennaio 2023 è arrivata la sentenza di assoluzione. Come ne è uscito da quello che le è successo?
«Indubbiamente sono una persona diversa rispetto al 2006, quando tutto ebbe inizio. Mi sento un uomo più cresciuto, con valori ben saldi, che vuole e può vivere il futuro in maniera serena. È vero, nessuno mi ridarà indietro i miei 17 anni, ma oggi percepisco sensibilità sulla mia storia e mi fa piacere».

Tra quelli che non le hanno mai voltato le spalle, un nome su tutti: Gianluca Vialli.
«Non c’è giorno che non gli dedichi un pensiero. È stato importante così come lo è stato un altro grande amico, Gianluca Presicci. Vialli sarebbe molto contento della mia assoluzione. Mi piace pensare che persone come lui non moriranno mai davvero nel cuore di chi le ama e le ha amate. In me ha lasciato un segno importante. Era una persona speciale sotto ogni punto di vista».

Uno sguardo al futuro. Le piacerebbe un ruolo dirigenziale alla Juventus nei prossimi anni?
«La Juventus per me è stata una tappa fondamentale della mia vita. Ringrazierò per sempre proprietà e compagni, che mi hanno permesso di vincere così tanto e di conoscere una di quelle che reputo tra le migliori società calcistiche in assoluto a livello mondiale. Oggi sono opinionista a Sky, dove mi trovo molto bene e non chiedo nulla. Ma tornare a far parte di un gruppo come la Juventus sarebbe un sogno. Mi piacerebbe molto».