Bergamini, omicidio di stato come Cucchi e Aldrovandi: la schiena dritta dei giudici Lucente e Bilotta

“502 pagine di sentenza che ricostruiscono in maniera certosina tutti gli elementi che portano univocamente alle responsabilità di Isabella Internò e delineano anche un quadro a dir poco inquietante di tutta la sua famiglia e dei suoi familiari”. Così l’avvocato della famiglia Bergamini, Fabio Amselmo, ha commentato le motivazioni della sentenza con la quale Isabella Internò è stata condannata a 16 anni di reclusione per l’omicidio volontario pluriaggravato di Denis.

“Non nascondo la grande soddisfazione che posso provare in questo momento per il lavoro che abbiamo fatto, per avere fatto riaprire il caso dopo 28 anni e per avere dato un contributo – anche leggendo questa sentenza – all’accertamento della verità che ha portato finalmente a fare chiarezza sul fatto che Denis Bergamini non si è suicidato, non è morto per calcioscommesse, non è morto per droga, ma è morto perché è stato ucciso da Isabella Internò anche in un contesto familiare che – da quello che emerge – ribadisco essere tutt’altro che rassicurante. Sono molto felice, se di felicità si può parlare, per Donata Bergamini, per i suoi figli, per tutti i suoi familiari che hanno dovuto aspettare tanto tempo per avere però una sentenza che – a mio avviso – sarà molto difficile mettere in discussione nei successivi gradi di giudizio”.

Grande merito va dato ai giudici Paola Lucente e Marco Bilotta. Hanno avuto la schiena dritta. Ritorniamo per un attimo a quel 1° ottobre.

Otto ore di camera di consiglio: esattamente com’era accaduto per il processo Cucchi. L’avvocato Fabio Anselmo ricorda l’attesa per quella storica sentenza e la mette a confronto con quella per il processo Bergamini. Nelle lunghissime ore di “sospensione” il legale ferrarese aveva interpretato come un buon segnale il protrarsi della camera di consiglio dei giudici ma davanti al Tribunale di Cosenza non si respirava la stessa fiducia, anzi. Troppe delusioni, troppi sospetti sulla reale volontà di arrivare alla giustizia per lasciarsi andare all’ottimismo. La tensione si tagliava a fette.

Il presidio dei tifosi con bandiere e striscioni, la vicinanza commovente e infinitamente affettuosa dei compagni di squadra di Denis e il solito inevitabile circo mediatico sono lì a fare da testimoni a una battaglia giudiziaria estenuante e senza esclusione di colpi. La Corte entra in aula alle 19, la presidente Paola Lucente legge il dispositivo con un filo di voce: “… condanna Isabella Internò a 16 anni di reclusione…”. E’ una sentenza storica, per certi versi “rivoluzionaria”, di sicuro uno spartiacque per la storia giudiziaria della città di Cosenza.

L’omicidio di Denis Bergamini è un omicidio di stato, come quelli di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, anzi forse anche di più, considerati i 35 anni che sono passati per arrivare alla verità. C’era chi aveva sussurrato che potesse essere pronunciata una sentenza di “compromesso” per evitare conseguenze all’imputata, “intoccabile” per tre decenni e un lustro e protetta certamente da quei poteri fortissimi invalicabili per tutto questo tempo. Una condanna simbolica ma per un reato prescritto: questo si raccoglieva fino a pochissimi minuti prima dell’apparizione della Corte nell’aula del palazzaccio. Ma la presidente Paola Lucente e il giudice a latere Marco Bilotta hanno tirato dritto per la loro strada e non si sono fatti intimidire dalle patetiche e deliranti arringhe della difesa dell’imputata, che hanno messo a nudo l’inadeguatezza della classe forense cosentina intrallazzate e mazzettara.

Il giudice Marco Bilotta

Lucente e Bllotta hanno confermato in pieno l’impianto accusatorio di Eugenio Facciolla e Luca Primicerio: omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili e abietti motivi. Un delitto passionale più ancora che d’onore o magari tutti e due messi insieme. La città di Cosenza conosce questa verità ormai da 15 anni, da quando cioè si è svegliata da un lungo torpore durato 20 anni e ha aperto finalmente gli occhi. Nonostante ci fossero e ci siano ancora “farisei” senza pudore e vergogna che dopo aver nascosto la polvere sotto il tappeto si ergono a garantisti di sta cippa dopo aver irriso per un decennio chi urlava la verità e veniva preso per “pazzo”.

La foglia di fico del suicidio è caduta per sempre: Isabella Internò ha ispirato l’omicidio di Denis Bergamini insieme ai suoi familiari perché è in quel contesto che è stato concepito il piano per far pagare a Denis l’abbandono dell’ex fidanzata e i “tradimenti” del calciatore nei confronti di qualcuno, che dall’alto del suo essere uomo dello stato non poteva tollerare il peso di una gelosia diventata ossessiva, alimentata dalle false accuse dell’imputata per l’aborto del 1987 e forse anche per quello del 1988…

Isabella Internò è stata smascherata ma è chiaro che adesso si attendono i nomi degli esecutori materiali del delitto e di coloro che hanno depistato consapevolmente le indagini creando fin da subito i presupposti per l’omicidio di stato.

Sia chiaro: la città di Cosenza questi nomi li conosce già. Sia quelli degli esecutori materiali, che ancora girano liberamente per le strade, sia quelli dei pupari e dei burattinai. Intanto, uno di questi nomi, quello di Roberto Internò, è già uscito fuori nel dispositivo della sentenza. Perché Roberto Internò, cugino dell’imputata, molto preso sarà accusato formalmente anche lui di concorso in omicidio volontario pluriaggravato. Poi toccherà anche agli altri, in procedimenti che, com’è già accaduto per Stefano Cucchi, si chiameranno “Bergamini bis” e “Bergamini ter”. A quelli che ancora oggi ciarlano di quello che manca e quello che non torna, consigliamo un sano silenzio.