di Andrea Rosito
Ho sempre voluto raccontare e parlare di sport. Preferisco farlo con la macchina fotografica, ma spesso mi è toccato anche scrivere. Non farò mai cronaca, umilmente non mi ritengo capace, ma forse anche per paura. Il timore di ripercussioni nella vita di tutti i giorni mi ha forse frenato, anche se un giorno qualcuno mi disse: “Chi fa sport può scrivere di altro, chi fa altro non può scrivere di sport”. A volte, però, dallo sport ci si ritrova ad affrontare anche altro.
Nella mia vita, non mi occuperò mai di cronaca giudiziaria. Odio l’80% degli avvocati di Cosenza, convinti di essere superiori senza nessun merito particolare. Le uniche occasioni in cui ho messo piede nel Tribunale di Cosenza sono state per il Processo Bergamini, e spero di non doverci più tornare. Ho seguito in aula quasi tutte le udienze, ma non ho mai pubblicato né espresso un giudizio sulla vicenda, sebbene sia evidente che non ho mai creduto alla tesi del suicidio.
In modo che definirei “sciacallesco”, in occasione del 36° anniversario della morte dello sfortunato centrocampista del Cosenza, è uscito un podcast, realizzato dalla giurata di Ballando con le stelle (scrivo così solo perché si è cancellata dall’ordine dei giornalisti), che rilancia la tesi del “suicidio”.
Ho visto personalmente la relazione definitiva dei RIS di Messina, e posso dire che anche senza la “glicoforina” – scientificamente – sostenere la tesi del suicidio è VERGOGNOSO. Sostenere ancora oggi la dinamica del “tuffo in piscina” è ridicolo. Il cadavere non presenta segni di trascinamento; oltre alla rottura del bacino, non c’era alcuna frattura; la catenina è rimasta attaccata al collo; l’orologio è intatto; e i vestiti (poi spariti) non mostravano segni di strappo.
Non voglio dilungarmi sulla mancata autopsia, sulla mancata perizia del camion, sul perito Coscarelli, che in aula ha pianto dicendo che oggi non scriverebbe più quella relazione, sul dottor Raimondo, che ha dichiarato di non aver visto il corpo, e sull’altro medico, De Marco, che ha affermato di aver effettuato solo un’ispezione visiva, senza girare il corpo. Durante tutte le udienze abbiamo toccato “con mano” bugie, contraddizioni, accuse tra medici, figuracce, silenzi, intercettazioni, reticenze, richiami della corte ad essere seri, sensazioni che non si possono capire leggendo le motivazioni della sentenza ma solo vivendole. Cose a cui nessuno di questi signori è stato capace di replicare davanti a una corte.
Infine, non capisco come mai l’imputata, che nel corso del processo aveva scelto di non sottoporsi all’esame, rilasciando solo una dichiarazione spontanea poco prima della conclusione (“Io sono innocente, non ho commesso nulla, lo giuro davanti a Dio. Dio è l’unico testimone e, purtroppo, non posso averlo al mio fianco”), abbia deciso ora di parlare con l’unico giornalista che sostiene la sua tesi e con la giurata di Ballando con le Stelle, che negli anni ha sostenuto l’innocenza di Martina Ciontoli nell’omicidio di Marco Vannini e ha criticato i servizi de Le Iene sulla morte di Mario Biondo, accusandoli di cherry picking (ossia di selezionare solo i dati o le informazioni che supportano una tesi, ignorando quelle che la contraddicono, per poi presentare una realtà distorta). È esattamente ciò che, a mio avviso, ha fatto lei stessa con il podcast “Tu non puoi capire”…









