Berlusconi al Colle coi voti di Italia Viva. Micciché: “Me l’ha detto Renzi”

(repubblica.it) – “Matteo Renzi mi ha detto che se a Berlusconi dovessero mancare solo quelli, i voti di Italia Viva sarebbero garantiti”. Gianfranco Micciché, parlamentare di Forza Italia per cinque legislature e oggi presidente dell’Assemblea regionale siciliana, rivela a Repubblica un retroscena che la dice lunga sulle manovre in corso per il Quirinale. Racconta un passaggio di una conversazione avuta con l’ex premier nel corso di una cena, avvenuta a metà ottobre a Firenze: argomento principale il patto fra Fi e Iv per le elezioni a Palermo ma nel menu dell’enoteca Pinchiorri, fra un brindisi e l’altro con un Guado al Tasso […]

Dell’Utri-Verdini-Letta: 30 voti per B. al Colle

I 2 pregiudicati e Gianni a caccia di peones. Persuasori palesi – L’uno ha scontato 7 anni per mafia, l’altro è ai domiciliari per bancarotta: con lo zio di Enrico e il solito Confalonieri cercano 50 eletti per arrivare a 505 nel 4° scrutinio. Colle: Letta, Verdini e Dell’Utri hanno già reclutato 30 peones

(DI GIACOMO SALVINI – Il Fatto Quotidiano) – “Sembra di essere tornati al 2008, ma senza le olgettine”. La battuta è di un colonnello berlusconiano, di quelli che in villa San Martino ci entrano da oltre vent’anni. Dalla porta principale, naturalmente. Il significato è presto detto: i tempi passano, le carriere finiscono, i processi arrivano a sentenza, ma alla corte di Silvio Berlusconi sono tornati gli stessi uomini dell’epoca d’oro del berlusconismo. Ci sono i soliti Gianni Letta e Fedele Confalonieri e poi ci sono i due “uomini neri”. Quelli che parlavano poco ed erano temuti da tutti. Quelli che hanno sempre fatto il lavoro più sporco in nome del capo, fino a mettere le mani nei tubi melmosi del Parlamento. Le manovre parlamentari erano roba loro. Ora Marcello Dell’Utri e Denis Verdini sono tornati. Il compito è quasi proibitivo: issare Berlusconi al Quirinale. Per riuscirci servono almeno 50 voti, quelli per arrivare a quota 505 al quarto scrutinio.

Dell’Utri, che ha scontato una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è tornato a frequentare le stanze di Arcore dopo l’assoluzione di Appello al processo sulla trattativa Stato-mafia e si sta muovendo dietro le quinte per cercare di recuperare più voti possibili. Nei giorni scorsi ha avuto anche una telefonata con Renzi e, di fronte ai vertici di Forza Italia, ha detto: “Renzi può aiutarci per Silvio al Colle”. Presto, sussurrano i big di FI, potrebbe tornare anche a Roma. Poi c’è Verdini che sta scontando i domiciliari nella villa fiorentina di Pian de’ Giullari dopo la condanna a 6 anni e 6 mesi per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino. Fisicamente quindi “lavora” da casa per Berlusconi, ma più di un senatore nei giorni scorsi ha ricevuto la sua telefonata. “Tu Silvio al Colle lo sostieni, vero?” il senso delle frasi di Verdini che, come noto, può vantare anche un rapporto di lunga durata con Matteo Renzi dai tempi in cui quest’ultimo era presidente della Provincia di Firenze e il macellaio di Fivizzano lo avrebbe voluto come erede di Berlusconi. I 43 voti dei renziani fanno molto gola ad Arcore: poter contare anche sulla metà di questi vorrebbe dire, sulla carta, far diventare realtà il sogno dei 505. Anche perché, dopo una settimana di prime trattative, la convinzione ad Arcore è di poter contare già su 25-30 tra deputati e senatori del gruppo misto. Oltre a quelli del “Maie” e di “Coraggio Italia” di Toti e Brugnaro (presto nascerà un gruppo in Senato), una decina di voti dovrebbero arrivare dagli ex 5Stelle. “Se la tua candidatura prende forza, quei voti spunteranno” è la frase che i consiglieri hanno rivolto a Berlusconi in queste ore.

Come arriveranno quei voti è difficile da dire. La promessa di una ricandidatura nel centrodestra potrebbe essere un’idea perché l’ex premier è convinto che, se dovesse essere eletto al Quirinale, Forza Italia tornerebbe ai fasti di un tempo e il taglio dei parlamentari diventerebbe un problema secondario. I modi per conquistare i voti dei “cani sciolti” del gruppo misto ci sono. Anche quelli meno nobili. Basti ricordare che Verdini è stato il padre delle operazioni che nei primi anni Dieci dei Duemila portavano voti a Berlusconi: la compravendita dei senatori nel 2008 per convincere il senatore dell’Idv Sergio De Gregorio a votare la sfiducia al governo Prodi e l’operazione “responsabili”, il gruppo di Antonio Razzi e Domenico Scillipoti, che si concluse con il salvataggio del governo Berlusconi IV nel 2010 dopo la scissione di Gianfranco Fini.

“Silvio è noto perché se vuole arrivare a una cosa ci arriva – scandisce oggi un big di FI – se ha bisogno di 30/40 voti il modo lo trova”. Tra Berlusconi e il Quirinale, però, resta un grosso ostacolo: la tenuta dei gruppi parlamentari. Perché ad Arcore, nonostante le promesse in privato e gli endorsement sfacciati, temono che Matteo Salvini e Giorgia Meloni alla fine lo fregheranno. O almeno, lo candideranno per bruciarlo nelle prime votazioni e poi lo scaricheranno dalla quarta. Anche perché i gruppi parlamentari di Lega e FdI, nel voto segreto, non lo sosterrebbero in massa. E dunque la parola d’ordine da Arcore è quella di “coccolare” gli alleati. Lui, nel frattempo, sta provando a riconquistare il palcoscenico internazionale. Dopo il faccia a faccia con la Merkel avrebbe partecipato al congresso del Ppe a Rotterdam del 18 e 19. Ma è stato annullato causa pandemia. E Berlusconi se n’è dispiaciuto molto.