Blade Runner, 40 anni fa. Perché è un capolavoro

Vi sarà certamente capitato di parlare con qualcuno che ad un certo punto inizia una frase (che spesso non finisce) con ’Ho visto cose che voi umani…’. O magari l’avrete detta proprio voi. È una prova inconfutabile (certo non l’unica) che la cosa da cui siete stati ispirati è quantomeno un cult, nel migliore dei casi un classico.

E quella cosa è Blade Runner, il film del 1982 di Ridley Scott che ha cambiato la fantascienza ma che si farebbe fatica a definire semplicemente un film di (un certo) genere.

Una gestazione complessa (c’era un libro del 1968, Do the Adroids dream Of electric sheep?, di Philip Dick – e il film contribuirà non poco a far diventare Dick quell’autore di culto che è ancora oggi ben oltre i confini del cyberpunk – ma ce ne era anche un altro, di William Borroughs, che era il tentativo di sceneggiatura tratto da un altro libro ancora, di Alan E. Nourse dal titolo The Bladerunner); interventi pesanti della produzione (non sempre negativi: la voce off fu imposta al regista  per ‘spiegare’ quello che succedeva ed è uno degli elementi che caratterizza il film); sequenze ‘regalate’ da un altro regista (Stanley Kubrick, non proprio uno qualunque); versioni su versioni (se ne contano sette, compreso il director’s cut con il finale che voleva Scott e non con quello, lieto, voluto dai produttori); una attrice ingovernabileSean Young (la replicante Rachel), vittima dell’alcol e protagonista di parecchi eccessi; un esordio desolante al botteghino.

Insomma, tutti gli ingredienti per un radioso futuro: che infatti arrivò. Forse perché, come proviamo a spiegare con Mario Sesti nel podcast sui 40 anni del film (che ha avuto un modesto sequel di Denis Villenueve nel 2017), prova a rispondere ad una delle domande fondamentali dell’uomo: che vita viviamo e quale vorremmo vivere?  (ANSA)

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