BONIFICA DI CROTONE, POLITICA DI RIFIUTO
Viaggio nel labirinto istituzionale dove la bonifica diventa teatro di potere e propaganda. La gestione Occhiuto sotto la lente della critica politica.
Fonte; U’Ruccularu
Nel cuore avvelenato della Calabria, la bonifica del Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Crotone è diventata la linea di confine tra l’urgenza ambientale e il calcolo politico. Da un lato, tonnellate di rifiuti pericolosi che attendono da decenni un destino certo; dall’altro, un governatore che, con parole roboanti e strategie difensive, sembra voler salvare la faccia più che il territorio. La gestione della vicenda da parte di Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, appare oggi come un misto tra resistenza simbolica, opportunismo istituzionale e impasse tecnica.
DALLA “PATTUMIERA D’ITALIA” AL PULPITO EUROPEO
«Crotone non sarà più la provincia pattumiera d’Italia». Così ha dichiarato Occhiuto in audizione alla Commissione parlamentare ecomafie, disegnando la narrazione di un presidente in crociata contro i poteri forti dell’inquinamento. Ma dietro la retorica si cela un quadro tutt’altro che lineare. Il SIN di Crotone è ancora un terreno disseminato di oltre 760.000 tonnellate di rifiuti, di cui 360.000 pericolosi.
Occhiuto afferma di aver ereditato questa condizione, ma in quattro anni di governo non ha proposto un piano regionale chiaro e praticabile per gestire la bonifica. Ha scelto invece la via del contenzioso legale, delle diffide a Eni Rewind e Sovreco, dei ricorsi al TAR contro il decreto del Ministero dell’Ambiente (agosto 2024) che imponeva la rimozione del vincolo regionale sullo smaltimento. Una battaglia condotta più sui media e nei tribunali che nei cantieri.
SOVRECO E IL VINCOLO SPEZZATO: UN FRONTE IDEOLOGICO
Il nocciolo del conflitto è il PAUR (Provvedimento Autorizzativo Unico Regionale) che impone il divieto di smaltire i rifiuti in Calabria. Un vincolo stabilito in nome della giustizia territoriale, ma diventato oggi il principale ostacolo tecnico e normativo alla bonifica.
Mentre il Ministero cercava soluzioni pratiche, Occhiuto e i suoi tecnici difendevano una posizione assolutista: tutto fuori regione o nulla. Una rigidità che ha spinto Eni Rewind a rallentare le operazioni, spaventata dal rischio di non riuscire a completare l’intervento prima della scadenza Ue del maggio 2026, che vieta l’esportazione di rifiuti pericolosi fuori dall’Unione.
Occhiuto ha denunciato che l’uso della discarica Sovreco avrebbe potuto portare a un suo raddoppio. Ma questa denuncia appare più come una leva mediatica che una valutazione tecnico-economica concreta. Nessuno — né Regione, né Comune, né Eni — ha ad oggi presentato una valida alternativa operativa.
IL GRANDE BLUFF DELLE DISCARICHE ESTERE
Occhiuto ha sventolato ai microfoni le autorizzazioni per inviare 40.000 tonnellate di rifiuti pericolosi in Svezia, presentandolo come un risultato della propria pressione politica. Ma è solo l’11% del totale dei rifiuti pericolosi presenti nel SIN.
Altre 25.000 tonnellate sono in valutazione per la Germania. Ma, secondo le stesse comunicazioni di Eni Rewind, nessuna discarica nazionale italiana è oggi disponibile ad accettare il restante 89% dei rifiuti, e le opzioni estere si riducono sempre più man mano che si avvicina la scadenza del 2026.
La realtà è che i numeri raccontano il fallimento di una strategia. In quattro anni, la Regione non ha costruito un piano di smaltimento completo e progressivo. Ha invece puntato tutto sulla carta ideologica del vincolo. Una carta che rischia di bruciare la bonifica.
“DOWNGRADE” DEI RIFIUTI: SCORCIATOIA O ILLUSIONE?
Occhiuto propone di trattare i rifiuti pericolosi con tecnologie di declassamento (downgrade), per farli rientrare in una categoria meno stringente e smaltirli in altre regioni. Ma:
Non c’è ad oggi nessun impianto pronto e funzionante in Calabria in grado di eseguire questo processo su larga scala;
Eni ha già dichiarato che i costi sono proibitivi e che non intende sobbarcarsi una spesa extra per una soluzione mai concertata;
Il tempo stringe: il regolamento europeo vieta dal maggio 2026 l’esportazione dei rifiuti pericolosi all’estero, mentre la Regione non ha predisposto nessuna alternativa compatibile e certificata.
Più che una soluzione tecnica, il downgrade si presenta come una trovata politica utile a guadagnare tempo e titoli di giornale.
UN VINCOLO CHE RISCHIA DI DIVENTARE UNA TRAPPOLA
Se i rifiuti non partono, restano. Ed è proprio quello che rischia di accadere. Il vincolo difeso da Occhiuto, senza una vera infrastruttura di smaltimento alternativa, potrebbe generare un cortocircuito legale:
Eni non può usare Sovreco senza infrangere il vincolo;
La Regione non vuole rimuovere il vincolo senza perdere consenso;
Il Ministero non riesce a imporre una linea unitaria.
Nel frattempo, Crotone resta bloccata in un pantano istituzionale, e il sito di bonifica si avvia verso l’ennesimo fallimento operativo.
LE SINERGIE ANTIMAFIA: TRA DOVERI E PROPAGANDA
Occhiuto ha dichiarato di aver aperto le banche dati regionali alla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) per prevenire infiltrazioni nella gestione dei rifiuti. Una mossa senza dubbio necessaria, ma anche doverosa in una regione come la Calabria. Non basta citare la ‘ndrangheta per darsi un tono da statista. Serve un piano trasparente, condiviso e monitorato — che ad oggi non si intravede.
UN CONFLITTO UTILE A CHI?
Invece di unire gli sforzi tra Ministero, Regione, Comune, Eni e Commissario, si è scelto lo scontro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti:
La bonifica è parzialmente avviata ma senza garanzie di completamento;
I cittadini vivono sotto una cappa tossica di incertezza;
Le istituzioni si accusano a vicenda;
E Occhiuto cavalca il dissenso, costruendosi l’immagine del paladino solitario.
Ma i rifiuti restano lì. E la Calabria, ancora una volta, assiste all’ennesimo conflitto tra promesse e risultati. Eni si muove con lentezza, il Ministero appare ambiguo, il Commissario è isolato. Ma il presidente della Regione, con ogni risorsa e ogni potere a disposizione, ha scelto la barricata al posto della soluzione.
La bonifica di Crotone non può diventare né un trofeo elettorale né un atto di sabotaggio istituzionale. Servono serietà, piani reali e, soprattutto, meno proclami. Perché le diffide si archiviano. Le discariche restano.
INTANTO LA CONTAMINAZIONE…
Nel silenzio metallico del quartiere industriale, dove un tempo echeggiavano i rumori della produzione e oggi rimbombano solo le promesse mancate, si consuma il paradosso di una bonifica che, invece di restituire vita e sicurezza, aggiunge incertezza e nuovi interrogativi.
La Regione Calabria – con il presidente Occhiuto in prima linea contro i rifiuti in arrivo da fuori – pare dimenticare che il primo dovere non è l’orgoglio politico, ma la protezione delle comunità esposte. Le diffide a Eni Rewind sono titoli da conferenza stampa, mentre sul campo restano teli strappati, polveri libere, centraline spente nei weekend. L’inizio dei lavori, sbandierato come svolta, si rivela un’illusione se la realtà è fatta di misure precarie e protocolli che non prevengono ma reagiscono. Male.
E allora non basta invocare la trasparenza o denunciare l’eredità del passato. È oggi che serve coraggio. È adesso che va chiesto conto non solo a Eni, ma anche a chi governa. Perché una bonifica fatta male è una seconda contaminazione, più sottile, più cinica: quella del diritto negato a respirare aria pulita, a vivere senza paura, a fidarsi delle istituzioni.
Ecco perché il tema non è tecnico, ma politico. Non riguarda solo il “dove” si portano i rifiuti, ma il “come” si proteggono le persone.









