Partono anche i figli degli abbienti
di Gioacchino Criaco
“Lo spopolamento non è solo una cifra nei registri anagrafici: è una storia che viene raccontata, interpretata, a volte manipolata. Le parole che usiamo per descriverlo possono alimentare rassegnazione o aprire spazi di possibilità. Per questo, interrogare le retoriche dello spopolamento significa anche chiedersi chi scrive queste storie, e a beneficio di chi”.
C’è una deriva pericolosa, quando la nostalgia diventa consolazione, il racconto serve ad addormentare le coscienze anziché indirizzarle alla lotta.
Abitare è stabilire un modello del luogo, tenere al centro il punto di vista del territorio.
Le politiche di svuotamento non nascono col Governo Meloni, il ministro Foti ha il pregio di buttare la maschera a un nemico che sta sopra gli schieramenti politici e impone le scelte.
La scelta per il Sud è: svuotare di umanità e riempire i vuoti con gli strumenti del profitto a tutti i costi e a vantaggio di pochi.
Non ha senso parlare di spopolamento se si sta zitti su Polsi, se ci si assenta quando si lotta fisicamente perché non chiudano le scuole in Aspromonte, se si è muti sul Ponte, sul Rigassificatore, sull’acciaio light, sui tempi ambientali, sulla repressione cieca…
Non ha senso facilitare le lacrime se non si contestano mai, con forza, i molteplici meccanismi di una fuga o cacciata che è meccanismo automatico di partenza.
E’ solo nostalgia se al Feudo poi si fanno le carezze, i complimenti, se ci si accoccola sui palchi che esso appronta.
Pure i figli degli abbienti partono, lo fanno da tempo ormai, non certo sopra le corriere, filano via in aereo con l’imbarco in priority. Vanno via perché i loro padri hanno progettato un futuro da un’altra parte, consci che alla fine il loro tradimento ammazzerà la nostra terra.
Se non si invita alla lotta si consegna alla demagogia e al populismo un’arma ulteriore. Ed è quello che sta succedendo, al fare si sostituisce il parlare, vuoto, mieloso, una trappola di zucchero filato, la nostalgia.









