Calabria 2025. Reddito regionale irrealiizzabile: troppi poveri e pochi soldi in bilancio. Il confronto con la Toscana è impietoso

Pasquale Tridico, candidato del Movimento 5 Stelle alla presidenza della Regione Calabria, si appresta a inserire nel suo programma elettorale anche la proposta di istituire un reddito di cittadinanza regionale, sul modello di quanto la Toscana sta già mettendo nero su bianco. Proprio lì, infatti, il patto elettorale tra Pd e M5S prevede la reintroduzione di un reddito di cittadinanza regionale come integrazione all’Assegno di Inclusione (ADI), giudicato insufficiente ad affrontare la crisi sociale in corso. L’intesa, sottoscritta tra gli altri da Eugenio Giani (Pd), Paola Taverna e Irene Galletti (M5S Toscana), contiene interventi integrativi rispetto all’ADI nazionale con l’obiettivo dichiarato di garantire un effettivo sostegno ai cittadini toscani in difficoltà.

E adesso la stessa idea vuole  lanciarla anche Tridico in Calabria: se eletti, Pd e M5S promettono di istituire un reddito di cittadinanza regionale, a sostegno delle misure nazionali già esistenti. Un’idea che non possiamo che giudicare giusta, necessaria, un atto di civiltà sociale, con cui ci schieriamo senza se e senza ma. In una terra dove povertà e disoccupazione divorano futuro e dignità, pensare a un sostegno universale al reddito è doveroso. Ma proprio perché parliamo di una misura così seria, bisogna dirlo chiaro: in Calabria questa proposta resta solo un arzigogolo elettorale, un espediente di campagna elettorale. Non c’è alcuna possibilità che diventi realtà. La Costituzione lo consente: le Regioni hanno competenza sulle politiche sociali e in passato esperienze locali non sono mancate. La Puglia con il Reddito di Dignità, la Sardegna con il Reis, la Basilicata con il Reddito minimo di inserimento, la Provincia di Trento con l’Assegno unico provinciale. Nulla vieta, in astratto, che anche la Calabria adotti una misura simile. Il problema non è la legittimità, ma la fattibilità.

Nel 2022 in Calabria i nuclei che hanno percepito il Reddito o la Pensione di cittadinanza sono stati 73.735, per oltre 185 mila persone (dati INPS). Se la Regione decidesse di riconoscere 600 euro al mese a ciascun nucleo, la spesa annua ammonterebbe a 530,9 milioni di euro. In uno scenario di 100 mila beneficiari si arriverebbe a 720 milioni annui. Peccato che il bilancio della Regione Calabria valga poco più di 7 miliardi l’anno: significherebbe bruciare tra il 7,4% e il 10% del totale solo per questa misura. E senza un euro di copertura dallo Stato centrale, significherebbe tagliare altrove: sanità, trasporti, istruzione. Il confronto con la Toscana è impietoso. Qui i nuclei beneficiari del RdC nel 2022 erano 35.590, meno della metà della Calabria. E il bilancio regionale supera i 14 miliardi annui. Lo stesso schema da 600 euro mensili costerebbe circa 256 milioni all’anno, cioè l’1,8% del bilancio. Una spesa impegnativa ma sostenibile, soprattutto se legata a fondi europei e a percorsi di inclusione. Per la Toscana, insomma, è una partita vera. Per la Calabria resta una promessa vuota.

A questo si aggiunge il fattore politico. Con il governo Meloni, che ha smantellato il Reddito di cittadinanza, nessuno a Roma metterebbe un centesimo per sostenere un reddito regionale calabrese. Anzi: verrebbe subito bollato come spreco assistenzialista. E c’è un’aggravante. Tutto questo, Tridico dovrebbe saperlo bene, visto che è stato presidente dell’INPS e l’uomo che ha messo in pratica il Reddito di cittadinanza a livello nazionale. Non può ignorare i numeri, i vincoli, i bilanci. E allora il dubbio è inevitabile: non è una proposta, ma un espediente elettorale, l’ennesima promessa buona per strappare qualche voto a una Calabria stremata. Il reddito regionale sarebbe una scelta di giustizia sociale che sosteniamo senza esitazioni. Ma in Calabria, oggi, resta irrealizzabile: troppi poveri, troppo poco bilancio, e un governo ostile. Chi lo propone senza dire queste verità, inganna i cittadini.