Calabria 2026/27. Occhiuto bis? “A purtata” di Fausto Orsomarso

“Al presidente Roberto Occhiuto gli abbiamo chiesto di ricandidarsi due anni fa e non abbiamo cambiato idea”. 
Con questa frase, Fausto Orsomarso liquida il caso Roberto Occhiuto e prova a mettere fine al tanto criticato silenzio del suo partito sull’inchiesta che coinvolge direttamente il presidente della Regione. Una dichiarazione che, a prima vista, suona come un atto di lealtà. Ma per noi cosentini, che conosciamo i personaggi e la loro ipocrisia, la frase va derubricata a una classica “purtata”. Un’arte sottile e velenosa del dire una cosa in pubblico e pensarne un’altra in privato, che Orsomarso — cosentino doc — conosce bene e pratica da maestro.

In dialetto cosentino, “‘a purtata” non è solo intesa come il magico momento in cui viene servita a tavola una pietanza sublime — “signori e signore, ecco a voi ‘a purtata” — ovvero un bel piatto. In senso figurato è usata anche per definire il comportamento tipico di chi, nelle relazioni pubbliche e private, usa molte facce: quelli che davanti ti lodano, ti appoggiano, ti abbracciano, e appena ti giri iniziano a sparlare, complottare e a minare il terreno sotto i tuoi piedi. È una tecnica necessaria quando non si può uscire pubblicamente allo scoperto, o non si può dire direttamente quello che si pensa. In questi casi, “‘a purtata” è salvifica. Ma resta un’espressione ambigua, detta per onorarti in pubblico e colpirti con eleganza in privato. L’equivalente della mano sulla spalla prima della spinta nel burrone.
Una tecnica da maestri del non detto. Da politici navigati.

Ecco perché, quando Orsomarso viene intervistato dai media di regime alla presentazione del libro di Scopelliti e dice che “sono stato tra i primi a volere la ricandidatura di Occhiuto”, altro non fa che una “purtata”. È costretto a farla, perché il silenzio era diventato troppo pesante. Non poteva più tacere sull’indagine che ha travolto il presidente della Regione Roberto Occhiuto. Qualcosa doveva dirla: il suo silenzio, insieme a quello del suo partito — compresa Wanda Ferro — è stato notato da tutti. E le accuse di fuoco amico si sono sprecate. Fuoco amico che è cosa certa, ed è per questo che Fausto Orsomarso ha deciso di esternare una “purtata”: un modo per lavarsi la coscienza in pubblico e continuare a lavorare, in silenzio, a un’alternativa a Roberto Occhiuto.

Tutto questo perché Orsomarso — oggi senatore, ieri assessore al Turismo e regista del sistema comunicazione-agroalimentare calabrese — non ha dimenticato i torti subiti da Roberto Occhiuto. Non ha dimenticato la berlina pubblica a cui fu sottoposto quando il presidente, appena insediato, bollò come “eccessive e poco trasparenti” alcune sue determine. Una delegittimazione in diretta, da cui non si è mai davvero ripreso. Ma più delle parole, ciò che ancora gli rode è l’intrusione di Occhiuto nella sua macchina dei soldi: la comunicazione istituzionale, il marketing agroalimentare, i fondi per il turismo. Un sistema che Orsomarso ha costruito con pazienza, in anni di manovre, società satelliti, consulenze e fedeltà ben pagate. Una struttura complessa, oliata, dove tutto — dai fondi pubblici agli spot sui prodotti calabresi — passa sotto il suo controllo.

E Occhiuto quel sistema lo ha occupato. È entrato senza chiedere, come fa chi si sente padrone di tutto, e ha preteso la sua fetta. Non per costruire qualcosa di nuovo, ma per sfilare più denaro possibile dalla cassaforte di Orsomarso, e tappare i buchi lasciati da anni di bancarotte, debiti, società fallite e finanziatori da soddisfare. È questo che non sta più bene a Orsomarso e compari, compresi i Cinghiali, stanchi dell’accentramento degli intrallazzi da parte di Roberto Occhiuto, che ha allungato le mani su tutto: ha occupato spazi che erano di altri, ha fatto razzia di ruoli e incarichi. Ha preteso posti e soldi, come se gli spettassero per diritto di nascita. Ha tirato troppa la corda, e la convivenza con gli alleati è diventata impossibile. La fame insaziabile di denaro, quella tendenza compulsiva a fare man bassa di ogni finanziamento, ogni bando, ogni canale di spesa, è diventata intollerabile anche per chi, fino a ieri, aveva fatto finta di niente. A partire proprio da Orsomarso e Wanda Ferro — i due pesi massimi di Fratelli d’Italia in Calabria — che oggi si muovono sottobanco contro Occhiuto, con il via libera di Giorgia Meloni. Tutti stanchi di proteggere un alleato avido che porta più problemi che voti.

Ma non finisce qui. Da qualche settimana anche Pier Silvio Berlusconi — silenzioso, ma attentissimo — ha cominciato a parlare di “volti nuovi” in Forza Italia, evocando una rottamazione lenta ma reale. Altro che Renzi: qui non si fanno proclami, si tagliano i rami secchi. E per l’azienda di famiglia, personaggi come Roberto Occhiuto sono diventati una zavorra, simboli di quella nomenklatura vecchia e stantia che non rende più appetibile all’elettorato il suo partito. In questo contesto, “‘a purtata” di Orsomarso non è un atto di sostegno. È l’annuncio di una resa dei conti interna, di una frattura ormai insanabile nel centrodestra calabrese, dove il patto tra famiglie, clan politici e interessi trasversali scricchiola sotto i colpi della magistratura — ma soprattutto sotto il peso dei rancori antichi e delle spartizioni tradite. Perché in Calabria, le inchieste passano. Ma le vendette no. Quelle restano. Silenziose. Sotterranee. Lucide. E quando parlano, lo fanno come Orsomarso: con “na purtata”. Apparentemente innocua. Ma carica di veleno.