Calabria. Arzura 12: “Nell’interno delle fiumare ci sarebbe da bere per l’eternità”

Arzura 12

di Gioacchino Criaco 

Gneis, micacisti, nomi ormai sconosciuti quanto quelli del materiale scientifico a corredo che portiamo sotto gli abiti firmati, indumenti zuppi, sunto di notti arrotolate in cui lo sfinimento vince sulla stanchezza e ti porta in compagnia del sole ad avvicinarti alla moka prima che il cielo si accenda. Sotto manti di pietra e argilla la terra cova frescura. Distese azzurre, limpide, ristoro di piogge antiche, passate e mai morte.

I geologi i segreti del pianeta sono stati i primi a svelarli, dopo gli zingari. I contadini con mille anni sulle spalle hanno mappate sui palmi le vene di ogni ferita. Dell’acqua si sa molto, non ancora tutto. Si saprebbe quanto basta a toglierci la sete: lungo gli argini delle fiumare con scavi a venti metri ci si può affogare. Nell’interno se non becchi la vena a 120 metri devi scendere a 250 e sfondare la placca d’argilla. Ci sarebbe da bere per l’eternità seduti al bancone del bar, con drink da 100 a 200 euro al metro, altro che balle, spendendo dieci, venti o per annegare proprio cento o duecentomila.
Finirebbe il fascino degli ansimi notturni delle dispute amorose con le lenzuola incollate. Finirebbe l’arzura, poesia suprema del Messico Aspromontano.
La foto è dell’assetato Antonello Scotti