Calabria. Arzura 3: “L’estate durava sei mesi e tutti si immergevano nelle gebbie”

Arzura 3

di Gioacchino Criaco 

Il lunedì dell’Angelo il cielo chiamava a raduno le nuvole come le pecore, strizzava le mammelle a latte e sabbia e portava via l’inverno nelle cavità dell’Ade. Persefone buttava sui rovi la veste di lino dipinta a more, il sale odorava i respiri fin dentro le valli dell’Aspromonte. L’estate scoppiava puntuale, il 12 di Maggio, per la festa di Leo, tutti si calavano a mollo. I ragazzi, divisi per bande secondo etnie clan e famiglie, attraversavano le campagne come Unni in miniatura, “state lontani dalle gebbie” avvertivano le mamme in tutte le lingue del Mediterraneo. Quelli più legati alle cime montane nemmeno ci arrivavano sulla spiaggia, si fermavano nelle pozze delle fiumare a rinfrescarsi con serpi e girini.

Tutti contravvenendo alle raccomandazioni si immergevano nelle gebbie. Le jabh erano dappertutto, il terrore della siccità che accompagnava gli arabi memori del deserto: riproducevano le oasi, isole di frescura costruite in ogni modo e ogni forma. L’acqua si conservava, un imperativo infisso nella genetica. Qualunque cosa avesse concavità se le ritrovava tappate. L’acqua, comunque arrivasse a terra, veniva fermata. Servisse o non servisse stava là, pure solo a ristorare le zanzare.

L’estate durava sei mesi, insensibile al calendario e alle previsioni di Bernacca, ignoranti in materia di cambiamenti climatici si sudava e si pativa la sete perché così doveva essere fino alla pioggia di ottobre che scioglieva le argille e conduceva i paesani verso i mugghii d’amore delle lumache.

Il lunedì dell’Angelo ci raduna come pecore davanti agli autolavaggi a litigarci il posto a chi sia arrivato prima. Le fiumare si seccano già a febbraio, i girini nascono direttamente rane, nessuno ti avvisa di non tuffarti nelle gebbie, perché nessuno va a mare il 12 maggio. Nessuno frequenta le campagne e nessuno lo sente il calore che tritura l’argilla, solleva la polvere che si attacca alla gola e ti secca le mucose, la lingua si blocca e la senti: l’Arzura.