Arzura 7
di Gioacchino Criaco
“Scusate se puzzo”, “scusate se secco”, è il mantra di molti abitanti calabresi, l’ultimo saluto di una pianta, un ortaggio. L’acqua va e viene, arriva a filo, spira prima di vedere la luce: le lancette girano al contrario riportano il contemporaneo ad un’epoca passata. Ci ri infiliamo nelle capanne di fango e frasche e l’acqua è solo quella delle alluvioni, quando arrivano. La gente ormai è arresa, non reagisce più a nulla, i calabresi si accovacciano sui terrazzi, siedono all’ombra degli ulivi, tendono le orecchie nell’attesa di uno scroscio che riempia almeno lo sciacquone per non essere ancora costretti a fare i bisogni nei campi. Così si rompe il patto sociale, si spezza la fiducia con chi dovrebbe amministrarci. E pur se di rivoluzioni non se ne vedranno in giro, con questo caldo, con i mojito che continuano a girare di straforo. L’unica rivolta possibile potrebbe essere una contro cartellatura, mandando noi assetati, noi alberi morenti, le bollette alla Sorical, i solleciti di pagamento al Consorzio di bonifica. E andando a fare almeno le pernacchie in faccia ai sindaci che, imperterriti, continuano a organizzare feste patronali e marciano davanti a roboanti putipù pure sotto il sole d’agosto.









