di Luigi De Magistris
Giancarlo Pittelli: dopo la condanna in primo grado ad 11 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, ora la condanna in appello a 7 anni ed otto mesi di reclusione nel processo “Rinascita Scott”.
Quando indagai, da pubblico ministero in Calabria, nel 2006/2007, l’allora potentissimo ed “intoccabile” avvocato Pittelli, deputato e coordinatore regionale di forza Italia, per fatti assai simili a quelli per i quali a distanza di venti è stato condannato in secondo grado, mi fu tolta, di fatto scippata, l’indagine dal mio procuratore, appena 36 ore dopo la notifica dell’informazione di garanzia, del quale Pittelli era non sola grande amico ma anche suo difensore. Sei mesi prima il figlio della moglie del procuratore era stato assunto nella società di Pittelli.
Il Consiglio Superiore della Magistratura mi condannerà in un processo disciplinare allucinante perché non avevo avvisato il procuratore dell’indagine sul suo amico ed avvocato.
Un anno prima quando dovetti fare una perquisizione al presidente della regione calabria Giuseppe Chiaravalloti, quello che prima ancora era il più potente magistrato in Calabria, come informai il Procuratore ci fu una fuga di notizie che coinvolse anche, senza alcuna condanna all’epoca, il potentissimo avvocato Pittelli. Con gli anni, con una difesa strenua, faticosa, costosa e ardua ho avuto ragione su tutta la linea, si è dimostrata in tutte le sedi la correttezza assoluta del mio operato e si sono in parte disvelati i delitti di cui siamo stati vittime. Il tempo è stato certamente galantuomo, ma non basta, non serve e non ripara.
Le indagini che arrivarono sino al cuore dello Stato individuando una sorta di nuova P2 mi sono state sottratte e la verità e la giustizia sono state distrutte, lo Stato, in particolare quel CSM che dovrebbe garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, mi ha trasferito, con una decisione profondamente ingiusta, per incompatibilità ambientale, lasciando operare il sistema corruttivo e mi ha anche sottratto per sempre le funzioni di pubblico ministero.
Il sistema operò di fatto una sorta di separazione delle carriere: non dovevo mai più fare il PM in nessuna parte d’Italia. Mi sono poi dimesso perché non mi hanno più consentito di fare il lavoro che avevo sognato e a cui ho dedicato con sacrificio, professionalità e coraggio i migliori anni dell mia vita. È Natale, si narra che bisogna essere buoni, ma io, chi mi conosce lo sa, lo sono sempre, non ho mai portato rancore, men che mai spirito di vendetta, ma come si dice a Napoli: non sono fesso.
Lo Stato non chiederà scusa, non tanto a me figuriamoci, ma lo dovrebbe al popolo che è stato tradito, perché aveva fiducia in noi, nello Stato, perché la legge dovrebbe essere uguale per tutti e perché la magistratura è amministrata in nome del popolo.
Hanno tradito la Costituzione e per quello che potrò non farò mai mancare, anche senza più la toga, il fiato sul collo sul sistema anche come megafono delle tantissime persone perbene che non hanno voce in un paese divenuto così corrotto sino al cuore dello Stato.









