Calabria. La vendetta di Orsomarso. Occhiuto gli ha forzato la cassaforte: salta il patto ed esplode la “guerra”

Se da un lato è vero che la giustizia, a queste latitudini, si muove solo quando qualcuno lo ordina, è altrettanto vero che, quando lo fa — per comando o per convenienza — agisce su precise indicazioni di reato. Accade quando nella tagliola dev’esserci un politico corrotto diventato scomodo, un “pezzotto” da sacrificare. Da sempre, certi poteri si servono della magistratura per colpire i rivali degli amici degli amici. Le guerre interne si combattono con fascicoli tenuti nei cassetti finché serve, pronti a riesplodere quando cambia il vento. È ciò che sta succedendo ai fratelli Occhiuto. Gli anni belli delle coperture e dell’impunità sono finiti. Che siano colpevoli, nessuno ne ha mai dubitato. Ma ora, improvvisamente, serve che lo siano anche per la giustizia. Non quella con la G maiuscola, ma minuscola.

Le protezioni di cui hanno goduto per decenni — e che gli hanno permesso di fare tutto ciò che di più oltraggioso si possa commettere nella pubblica amministrazione — sono saltate. E i fascicoli che per anni gli amici magistrati avevano tenuto chiusi nei cassetti, sono improvvisamente tornati a galla. Non per amore di giustizia o verità, ma perché gli Occhiuto, da tempo, sono diventati per molti un problema. Non politico: economico. Perché la politica, al netto della retorica, è sempre stata affari. E gli Occhiuto, negli affari, ci stanno dentro fino al collo. Affari loschi, s’intende. La loro perenne fame di denaro — per far fronte alla montagna di debiti accumulati in anni di bancarotte — li ha resi sempre più avidi, sempre meno disposti a spartire. E questo, a più di qualcuno, ha dato fastidio. Non si può mangiare da soli. Non si possono tagliare fuori dagli affari proprio gli amici che ti hanno spinto fino alla poltrona di presidente della Regione Calabria. Il limite è stato superato. È per questo che dai palazzi che contano, il segnale è arrivato chiaro già da un pezzo: gli Occhiuto sono fuori da tutti i giochi. Il loro tempo è finito. Ora, a fare affari loschi, tocca a chi da tempo si adopera per metterli all’angolo con la benedizione dell’intero governo. Tocca a chi, conoscendo fin troppo bene il loro metodo, ha avuto l’accortezza di tenersi da parte qualche asso.

Siamo nel 2020. Occhiuto è ancora in Parlamento, ma ha già in mano le chiavi della candidatura alla Regione. È già in affari con Paolo Posteraro nel progetto “Tenuta del Castello”. Ed è proprio in quel momento che qualcuno — che conosce bene gli intrallazzi di Occhiuto e che ha dovuto subire la sua candidatura a presidente — si premura di tenere sotto controllo l’attività di Robertino in veste di vignaiolo. Qualcuno che sa perfettamente che da questa osservazione si può sempre cavare qualcosa di utile da tirare fuori al momento opportuno. Qualcuno che già sa che Robertino non rispetterà gli accordi, e che con gli Occhiuto è sempre meglio coprirsi le spalle. Così, quel qualcuno decide di far arrivare un messaggio chiaro a Robertino, prima ancora della sua elezione a presidente. Un messaggio limpido e ben studiato. Non potendo impedire né la candidatura né la vittoria di Roberto Occhiuto — a quel tempo protetto da più di un santo in paradiso — e conoscendo la sua avidità, dettata dal bisogno di pagare montagne di debiti, bisognava mettergli un guinzaglio.

Il messaggio arriva quando l’antiriciclaggio di Bankitalia accende i fari su due movimenti sospetti sul conto dell’allora deputato Roberto Occhiuto. Qualcuno fa arrivare la segnalazione a Bankitalia. E questo è certo: l’antiriciclaggio si muove solo su segnalazione, che nel 99% dei casi arriva dalle banche. Ed è stata la banca di Roberto Occhiuto, sollecitata da qualcuno, a segnalare quei bonifici sospetti. Su questo non ci sono dubbi. La tempistica degli eventi chiarisce la “premeditazione” di chi si è adoperato per osservare i movimenti sottobanco di Robertino, proprio perché sapeva che non avrebbe mai tenuto fede agli accordi: a metà novembre 2020, Roberto riceve 11.000 euro con un assegno firmato da Posteraro e altri 10.000 tramite bonifico dalla Fondazione Patrimonio Artistico Retail (riconducibile a Occhiuto), che in quei giorni ottiene un finanziamento Covid da oltre 350.000 euro, garantito dal Mediocredito Centrale. Due mesi dopo — a metà gennaio 2021 — parte la segnalazione che arriva all’Unità di Informazione Finanziaria. A stretto giro, il fascicolo finisce in procura e, tra febbraio e marzo 2021, in piena era Gratteri, si apre un’inchiesta a carico di Roberto Occhiuto. Segue qualche mese di silenzio. Ma il 23 settembre 2021 l’indagine approda sulle pagine del quotidiano “Domani”. Dieci giorni dopo, Occhiuto viene eletto presidente della Regione Calabria. Lo avvisano prima che diventi presidente: se non ti comporti bene e non rispetti gli accordi, questa storia va avanti.

I primi tempi tutto sembra filare liscio. Per tutta la durata dell’era Gratteri, infatti, il fascicolo resta congelato. Ma è solo fuoco che cova sotto la cenere. Robertino, da quando è stato eletto, ha accentrato tutto nelle sue mani: ogni affare losco passa da lui. Come quel qualcuno aveva previsto, il messaggio — o meglio, l’avvertimento — non ha sortito effetto. Robertino continua a fare man bassa di tutto, lasciando tutti gli altri a bocca asciutta. Così, il mese scorso, arriva il via libera dai palazzi romani: la procura può procedere. Il fido Curcio esegue. E il fascicolo imboscato da Gratteri viene tirato fuori dal cassetto. Roberto non ha rispettato i patti spartitori, e l’inchiesta diventa pubblica. E per tutti, è fuoco amico. Questa è una certezza. La sua avidità, alimentata dal bisogno cronico di denaro, ha rotto gli equilibri. Ha fatto infuriare i suoi stessi compari. Soprattutto chi ha visto la propria cassaforte — quella che custodiva potere, affari e fedeltà — scassinata senza pietà da chi, invece di spartire, ha voluto prendersi tutto. Quel qualcuno ha un nome e cognome: Fausto Orsomarso.

La cassaforte di Fausto Orsomarso

Fausto Orsomarso nasce a Cosenza nel 1971. Si laurea in Discipline Economiche e Sociali all’Università della Calabria nel 2002. Nulla, nel suo percorso accademico, lo avvicina direttamente alla comunicazione, alla promozione turistica o alla sensibilizzazione ambientale. Eppure saranno proprio questi gli ambiti che trasformeranno la sua traiettoria professionale in una vera filiera di potere. La svolta avviene a inizio anni 2000. Orsomarso entra in politica come consigliere comunale di Cosenza nel 2002, sotto la giunta di Eva Catizone (centrosinistra). Intuisce da subito che l’universo della comunicazione istituzionale, della promozione territoriale e delle consulenze ambientali rappresenta una miniera d’oro. Così, già nel 2004 fonda la società Orsa Marketing e Comunicazione, con sede a Cosenza.

Dal 2005 al 2010, mentre la Regione Calabria è guidata da Agazio Loiero (centrosinistra), Orsomarso lavora come libero professionista e come amministratore unico della sua società. In questi anni, Orsa Marketing ottiene incarichi su scala regionale, legati soprattutto a piani di marketing ambientale, agroalimentare e turistico. Alcuni incarichi significativi: 2005: Catalogo dei Gusti (Assessorato all’Agricoltura Regione Calabria); 2006–2008: Campagne ambientali e progetti educativi con l’Assessorato all’Ambiente; 2007–2008: Collaborazione con il Consorzio Clementine IGP per iniziative promozionali; 2008: Coordinamento del piano media “Oasi Informative Ecologiche”; 2009: Promozione per il Consorzio Medea (prodotti bio calabresi). Insomma, un Orsomarso versione ambientalista, ecologista che manco Greta Thunberg.

Durante questo periodo, pur senza incarichi istituzionali diretti nella Regione, riesce a tessere relazioni strategiche grazie a una rete trasversale che include assessori, dirigenti e consulenti regionali. Nel 2010, Fausto Orsomarso viene eletto consigliere regionale con il Popolo della Libertà (PdL), sotto la presidenza di Giuseppe Scopelliti (centrodestra). È il primo vero salto: da fornitore a controllore del sistema. Formalmente non rinuncia alla sua attività professionale, pur essendo incompatibile con molti degli incarichi precedenti. In realtà, continua a influenzare le dinamiche degli appalti e delle campagne istituzionali attraverso la propria rete. Nel frattempo, coltiva rapporti con professionisti del settore: Sandro Turano (grafica e comunicazione), Santino Caruso (ex Orsa Marketing, poi OrsaWeb/OrsaMKTG&COM), Enrico De Caro (che ritroveremo in ruoli centrali).

Orsomarso esce formalmente dal ruolo operativo nella Orsa Marketing nel 2010, ma lascia attiva la società come contenitore fiduciario. Ed inizia a tessere la trama della sua cassaforte, ma sa che dovrà fare i conti con chi già da tempo, attraverso la SIAL Servizi S.p.a. — società “in house providing” della Regione Calabria che cura la comunicazione e tanto altro — ci mangia a piene mani. Del resto, con la sua Orsa conosce bene il sistema e sa che negli affari l’appartenenza partitica e politica non conta. Sa che per continuare ha bisogno di chi è dentro il sistema, e soprattutto sa che bisogna essere trasversali. Le figure di riferimento sono: Giovanni Guido (comunicatore, ex SIAL), Davide Ziccarelli (grafico e imprenditore), Enrico De Caro (garante tecnico e politico di Orsomarso), Giuseppe Perri (agronomo, solo in un secondo momento come futuro sostituto di Guido). Che già operano nel settore con diverse società: Primacom, Ideazione. E presto arriverà Illogica.

Nel 2014 arriva la vittoria di Mario Oliverio (centrosinistra), e Orsomarso, come preventivato, avvia i contatti con il nuovo presidente della Regione Calabria. In perfetto stile trasversale, mantiene le sue postazioni strategiche e ottiene la nomina (2015), tramite suo patrocinio, di Enrico De Caro a commissario liquidatore della SIAL, la società regionale per la promozione turistica. De Caro non è un semplice liquidatore, ma un garante tecnico, è un amico politico da tempo. È lui che, con un verbale datato 22 ottobre 2015, autorizza la prosecuzione degli incarichi di Giovanni Guido verso il Dipartimento Turismo. Con quell’atto, De Caro mette in salvo l’operatività della vecchia guardia: nessuna interruzione, nessuna selezione. Solo la continuità di un metodo. Quello che permette alla comunicazione istituzionale calabrese di restare sempre nelle stesse mani.

La figura centrale del meccanismo, attivato da De Caro all’inizio, è Gianni Guido. Che compare ufficialmente nel 2013 come presidente della cooperativa Abra Calabria all’interno della “Rete delle Eccellenze”, un’alleanza tra soggetti dell’enogastronomia e della promozione territoriale. Guido è anche presente nella SIAL. Forte di questi legami, Guido, a quel tempo, ha la possibilità di seguire da vicino l’iter dei PISL (Progetti Integrati di Sviluppo Locale) attraverso cui si finanzierà la realizzazione del MEC (Mercato delle Eccellenze della Calabria), a Zumpano, Cosenza. E che quello messo in piedi da De Caro fosse un piano ben studiato e pensato da Orsomarso, lo dimostra il fatto che già anni prima della costruzione, Guido annuncia pubblicamente che la sede della sua società cooperativa Abra Calabria si trova nella stessa via dove anni dopo sorgerà la struttura del MEC. Già nel 2016 Guido stabilisce la residenza della società presso il MEC prima ancora che la struttura sia costruita. Il MEC sarà inaugurato nel 2020 sotto la giunta Santelli, e sarà proprio la soc. coop. Abra Calabria a riceverla in comodato d’uso gratuito.

E se questo non dovesse bastare a confermare l’esistenza di un piano trasversale per impossessarsi del monopolio della comunicazione istituzionale sull’agroalimentare e turismo, arriva una persona chiave della nascente operazione: Davide Ziccarelli, titolare delle società Primacom e Ideazione. Guido conosce Ziccarelli, lavorano nello stesso ambito e spesso in concorrenza. Guido, salvato da De Caro e dentro le dinamiche burocratiche regionali, e con un patrimonio di conoscenza dell’apparato dirigenziale regionale, è in cerca di un “socio”. Non ha le risorse per avviare il progetto “MEC”. Così si rivolge a Ziccarelli che finanzia il “progetto” con 50.000 euro e fonda, nel 2016 subito dopo la liquidazione delal SIAL, insieme a lui e Adriana Toman (compagna del presidente Oliverio) la società Illogica Srl. Con un capitale sociale di 100 euro. Le quote: 50% Guido, 40% Ziccarelli, 10% Toman. Devono fare in fretta, devono proporsi come sostituti della SIAL, il giro è milionario e Ziccarelli lo sa, perciò investe. E poi Davide Ziccarelli, come De Caro, ha alle spalle un pezzotto politico: Mario Oliverio.

Guido “vende” a Ziccarelli — a che titolo nessuno lo sa, trattandosi di una struttura pubblica — già nel 2016 una “quota” del nascente MEC, futura sede di riferimento per tutta la comunicazione istituzionale di promozione della regione. Più chiaro di così: Guido porta i contatti, Ziccarelli i soldi, Toman il controllore politico. Segno inequivocabile dell’accordo trasversale tra Mario Oliverio e Fausto Orsomarso. Oliverio nomina l’uomo di fiducia di Orsomarso, De Caro, come liquidatore della SIAL; in cambio pretende e ottiene la partecipazione alla società Illogica di Adriana Toman e Davide Ziccarelli, che insieme detengono il 50% della società. Un do ut des evidente. Davide Ziccarelli è uomo vicino a Mario Oliverio e, nel patto spartitorio con Orsomarso, rappresenta i suoi interessi, così come De Caro rappresenta gli interessi di Orsomarso. Ma Ziccarelli è uomo che sa come non scontentare nessuno. Per questo diventa il perno di tutto il sistema.

Nel 2020, sotto la giunta Santelli (centrodestra), viene inaugurato il MEC – Mercato delle Eccellenze a Zumpano. Nella narrazione pubblica, fatta proprio da Guido, doveva essere uno spazio espositivo per i produttori locali, un hub di valorizzazione dell’agroalimentare. Nella realtà, come lo stesso aveva già previsto nel lontano 2016, diventa da subito ciò per cui è stato pensato: un contenitore operativo privato, concesso dal Comune di Zumpano per 25 anni a gratis. Una struttura da oltre 1000 metri quadri, mai realmente utilizzata per il pubblico e per lo scopo per cui era stata creata con i famigerati fondi PISL. Diventa ufficialmente la sede operativa delle attività riconducibili a Primacom S.r.l., Illogica S.r.l.s., Ideazione di Davide Ziccarelli. Una sede che non ospita eventi, ma controlla quelli finanziati. Una cassaforte con l’insegna istituzionale. Iniziano ad arrivare i fondi pubblici con costanza. Calabria Straordinaria, Fitur, Vinitaly, Maison&Objet, IFTM Parigi, Rosautoctono, Mangiasano, Strade del Rosato: tutti eventi, loghi, stand, video, pannelli e allestimenti passano per le mani della stessa rete.

Al banchetto partecipano anche due società note nel mondo degli appalti istituzionali: AB Comunicazioni (Milano) e Universal Marketing (Roma). Queste due agenzie risultano coinvolte negli stessi bandi regionali cui partecipa Primacom. Un esempio emblematico: la gara per il Vinitaly 2022, bandita dal Dipartimento Agricoltura. A essere invitate alla procedura ristretta sono sempre loro: Primacom, AB, Universal. A vincere fu Universal Marketing, ma il punto non è chi ha ottenuto il contratto: il punto è che il cerchio degli invitati è sempre lo stesso. Un sistema a inviti rotanti, dove la concorrenza è solo formale e la spartizione reale avviene sottobanco. Le due società sono le uniche agenzie esterne ad essere ammesse all’interno del circuito “ufficiale” della comunicazione regionale. Il motivo? Un patto non scritto ma sistematico, che garantisce da anni una spartizione dei ruoli e dei profitti. Le due società, AB Comunicazioni e Universal Marketing, sono “sponsorizzate” da Ziccarelli che suggerisce i loro nomi ai dirigenti, ed è per questo che finiscono sempre nella rosa degli “inviti” al banchetto. In cambio, le due società si impegnano a restituire il favore attraverso una serie di incarichi professionali alle società riconducibili a Ziccarelli: Illogica, Primacom, Ideazione. Un sistema blindato che offre anche l’illusione che a vincere non siano sempre gli stessi. Ma in realtà Ziccarelli e le società di cui sopra sono in affari da tempo.

Ecco perché nessun’altra agenzia riesce a entrare: si tratta di un sistema di scambi chiusi, blindati. Gli inviti formali partono sempre dagli stessi nomi, la rosa dei partecipanti è sempre la stessa, le proposte “aperte” non esistono. I bandi? Irrilevanti. Tutto avviene per “invito”, per “urgenza”, per “fiducia consolidata”. A ulteriore conferma di questo assetto, le strutture espositive allestite da AB Comunicazioni e Universal Marketing nelle fiere internazionali (Madrid, Parigi, Verona, Milano) portano sempre la firma creativa di Ziccarelli.

È un sistema fluido ma impenetrabile, dove ognuno recita un ruolo definito, e dove i benefici si redistribuiscono secondo una regola di appartenenza più che di merito. Non è una collaborazione. È un patto di mutua alimentazione. Chi è dentro resta dentro. Chi è fuori non entra mai. Il sistema ha un ulteriore vantaggio: l’assenza totale di controlli. Trattandosi di comunicazione, eventi, materiali promozionali e produzioni intellettuali, le pezze giustificative per ottenere i fondi sono spesso costruite a posteriori, con foto, brochure, video o siti web che nessuno verifica mai realmente. Tutto viene presentato come avvenuto, prodotto, rendicontato. Ma l’impatto sull’economia reale della Calabria è pari a zero. I dati parlano chiaro: la promozione turistica non ha inciso sulla permanenza media, né sulla spesa dei turisti, né sull’indotto locale. Si fattura per eventi che costano milioni e non lasciano traccia. In media, ciò che nel mercato privato costa un euro, nella catena istituzionale calabrese costa cinque. Il sovrapprezzo si giustifica con creatività, urgenze, importanza strategica, ma in realtà serve a gonfiare le cifre e garantire ritorni a tutta la filiera. Nessuno controlla, nessuno interviene.

È in questo contesto che nel 2020 Fausto Orsomarso ottiene – o meglio, pretende – la delega di assessore al Turismo nella giunta Santelli, poi confermata da Roberto Occhiuto. Il motivo è evidente: quella della comunicazione e promozione agroalimentare è la sua creatura e la sua cassaforte. E vuole controllarla personalmente. La macchina di Orsomarso macina denari che è una meraviglia. E gli affari vanno a gonfie vele. Ma Guido inizia ad essere di troppo. La sua “mediazione” non serve più, anche perché alla presidenza ora c’è Roberto Occhiuto, che da un po’ si è dato all’agricoltura, e per questo pretende di entrare anche lui nella filiera della comunicazione e della promozione, dove girano tantissimi milioni. E con l’avvio della truffa della “Tenuta del Castello”, ha bisogno proprio del sistema messo in piedi da Orsomarso e Ziccarelli. Pretende la presenza nella filiera del suo tecnico di fiducia, già direttore della Tenuta, Giovanni Perri. E per questo Guido diventa sacrificabile. Nonostante la concessione dell’entrata di Perri nel sistema, Roberto, come sempre, esagera, e vuole sempre di più. Ma Orsomarso non ci sta, e inizia a lamentarsi con il partito, con gli alleati e tutto il cucuzzaro. Fino a che Roberto, noncurante degli avvertimenti, e spavaldo come sempre, decide di attaccare Orsomarso pubblicamente. Come a dire: anche io conosco i vostri scheletri negli armadi, se voi tirate fuori i miei, io tiro fuori i vostri.

E così Roberto Occhiuto, il 21 maggio 2022 — con un atto che in Calabria ha fatto rumore come pochi — annuncia in diretta Facebook la revoca di una determina da 164.122 euro “firmata” da Orsomarso per la produzione di gadget promozionali. Il presidente non si limita a revocare, ma umilia pubblicamente il suo assessore, dichiarando: “Non condivido l’impostazione, né l’importo. La musica è cambiata”. È uno schiaffo. Una dichiarazione di guerra. Una delegittimazione in piena regola. Orsomarso tenta una contro-diretta per giustificarsi, ma è chiaro a tutti che il danno è fatto. La linea è stata superata. Occhiuto ha forzato la serratura della cassaforte di Orsomarso, e i 164mila euro sono solo il grimaldello. È chiaro che lo scontro tra Orsomarso e Occhiuto non è politico, o meglio non solo politico ma economico. Robertino vuole arraffare tutto, vuole mettere le mani anche nella cassaforte di Orsomarso. E in gran parte ci riesce. Orsomarso sconfitto, approfitta della sua elezione al Senato per andarsene a Roma. Da lì può gestire meglio la sua vendetta. E così sarà.

Passano tre anni. Nel giugno 2025, Roberto Occhiuto viene informato dell’indagine in corso su di lui. E qui la trama si chiude. Che dietro tutto questo ci sia Fausto Orsomarso è chiaro come il sole. L’uomo che ha impiegato oltre cinque lustri per costruire la sua cassaforte — riempiendola di denaro, relazioni, incarichi e fedeltà — non poteva restare a guardare, mentre Occhiuto la scassinava. E ha agito come il conte di Montecristo: imbastendo la sua vendetta nel tempo, aspettando il momento giusto per colpire laddove sapeva di fare centro. I finanziamenti alla Tenuta del Castello, segnalati a Bankitalia, li conosceva bene. E sapeva che prima o poi gli sarebbero tornati utili. Tutelarsi con gli Occhiuto è la prima regola, e Orsomarso questo lo sa bene. Come sapeva che non avrebbero mai rispettato i patti. Fanno così con tutti: la parola degli Occhiuto non vale niente. Questa è la storia che si cela dietro lo scontro tutto interno al centrodestra calabrese. Non solo politica, ma soprattutto affari. Non una storia di ideali traditi, ma di quote sottratte. È solo una questione di chi prende, chi trattiene e chi si vendica. È solo bisiniss. E poi si sa: in Calabria, le inchieste sono il modo in cui si pareggiano i conti. E ora è arrivato il momento che quel conto, gli Occhiuto, lo paghino tutto.